Nella fede siamo uniti a tutti gli uomini 2° Incontro – sabato, 30 novembre 2013
Dove va la strada della vita? La fede è la luce che ci viene incontro e ci fa vedere qual è la vita. Solo con i nostri occhi la meta è oscura. Non avendo una vista che ci permette di andare al di là di una certa misura, la fede ci viene incontro e ci rende vicino la meta, ce la fa vedere, addirittura toccare. Questo è il punto delicato intorno al quale noi siamo continuamente chiamati a riaggiustare il nostro modo di guardare le cose.
Papa Francesco, rispondendo a una domanda di Eugenio Scalfari, si rivolge anche al mondo laico che fa unicamente riferimento alla ragione come fosse l’unica cosa sicura sulla quale uno può fidarsi davvero. Questa mentalità è stata talmente disseminata che anche noi cristiani a volte ragioniamo così. Pensiamo cioè che il cristianesimo sia una tra le tante religioni, ma se così fosse non avrebbe più in sé una sufficiente energia per potersi esporre e proporre. Il cristianesimo ha la coscienza di aver ricevuto la grazia delle grazie e cioè essere testimone che la verità si è fatta incontro a noi. Il Papa, nella Lumen Fidei, dice che la fede non può essere pensata come il possedimento della verità, però la Verità ci può possedere. Chiaro, se io penso alla verità della fede con la presunzione di essere in possesso della verità, allora possiamo cadere nelle ideologie e in quelle forme di fanatismo che vediamo manifestarsi sulla scena del mondo. In realtà il cristianesimo si pone nella storia con la verità che non è esso a produrre ma che soltanto riceve.
Da qui nasce la domanda di Scalfari a cui il Papa così risponde: “Lei mi chiede come capire l’originalità della fede cristiana in quanto essa fa perno appunto sull’incarnazione del Figlio di Dio, rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio”. Ma in che cosa consiste questo rispetto alle altre fedi nelle quali appunto si afferma l’assoluta differenza tra l’uomo e Dio, per cui Dio è il trascendente, l’assolutamente altro, colui che non può essere toccato perché è l’innominabile? Dove sta l’originalità? Il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni, perché tutte le forme religiose sono un anelito verso il mistero che non può essere toccato. Il cristianesimo, invece, è il rivelarsi di Dio che si fa toccare perché si è incarnato. “L’originalità sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è l’Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell’amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri, ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell’unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione. Nell’incarnazione del Figlio di Dio sta il cardine della fede cristiana. Già Tertulliano scriveva caro cardo salutis, la carne (di Cristo) è il cardine della salvezza”.
La carne del Figlio di Dio è il perno attorno al quale siamo salvati. Ma perché è il perno della salvezza? Finché Dio resta nascosto noi possiamo immaginarlo come vogliamo. Se Dio si mostra, si rende presente, allora non posso più immaginarlo. O lo accogliamo o lo rifiutiamo. E questo avviene perché prende un corpo. E’ impressionante pensare che Dio prende un corpo! Capisco perché la ragione quando pensa a una cosa così rimane un poco muta e ha un po’ di paura. Il volto che Dio si dà nel Figlio è un volto che nessuno può determinare. E’ bellissimo pensare che tutti noi abbiamo un volto, ma nessuno è uguale all’altro. Il volto che abbiamo lo possiamo solo riconoscere. E Dio ha preso un corpo, ha preso un volto, il suo volto unico, diverso da tutti gli altri, dentro al quale c’è impressa la memoria di tutti i nostri volti, perché ogni volto richiama quello degli altri. Nel corpo di Cristo che è quanto di più esile e drammatico ci sia e nel Suo volto siamo tutti richiamati. Noi ci accorgiamo di avere un corpo quando subiamo una malattia. Allora ci sentiamo come esteriori al nostro corpo. Infatti nella storia del pensiero il corpo è sempre stato pensato come se fosse un semplice involucro in cui ci sta l’anima. Invece no! Io sono il mio corpo, io sono dentro a questo corpo, il mio corpo è la mia visibilità, è il modo con cui io posso parlare, incontrare gli altri: se non avessi il corpo sarei un fantasma. Il corpo dunque è il luogo del contatto, certo anche della contaminazione. Ebbene Dio ha voluto entrare dentro la corporeità umana, ha sofferto, ha pianto, ha camminato, ha avuto sentimenti come tutti noi.Questa è l’originalità di Dio: ha voluto essere umano! Ma chi gliel’ha fatto fare!
Poteva starsene bene nel mondo dell’eterno, invece è venuto a sporcarsi con noi. Dio non solo ha preso un corpo ma è entrato nel tempo. Il corpo e il tempo sono le due coordinate di ogni persona. Il tempo passa e mentre ci concede di vivere, ci sottrae alla vita. E’ il grande paradosso. Dio è entrato nella storia, nel movimento umano e ha accettato di venire risucchiato dalla storia e patire il tempo che maggiormente inerisce l’umano. E’ la condizione della nostra umanità fragile. Siamo come un soffio, come la rugiada del mattino. Dio si è impastato con la nostra umanità. Con la formula del corpo, del tempo e della storia Dio si assume le leggi del DNA di tutti gli uomini. Ogni nostra cellula nel suo DNA si sente collegata a tutte le altre cellule, così Cristo è il DNA che dà senso all’immenso corpo che è l’umanità. Per questo gli uomini sono segnati da Cristo.
Il cristianesimo non è lo spazio del rifiuto di qualcuno ma è il luogo dell’accoglienza di tutti. La verità non esclude nessuno: la verità è come la luce che illumina tutti; ci possono essere più o meno gradi di esposizione per cui uno può essere più o meno luminoso, ma la verità è per tutti, non fa violenza a nessuno, non costringe nessuno, non esclude nessuno, anzi diventa il luogo in cui tutti possono incontrarsi. E’ esattamente il contrario di ciò che si pensa nel mondo di oggi: si crede che la verità finisca per dividere gli uomini, tanto è che ognuno si rifugia nelle proprie opinioni. Invece la verità unifica, si offre a tutti come dono e a ciascuno chiede di corrispondere a quella luce che riceve. La fede è racchiusa in Gesù ed è una verità per tutti perché assume tutte le caratteristiche dell’umano che i teologi chiamano l’universale concreto. Gesù è concreto, è una persona singola ma allo stesso tempo universale e per questo tutti gli uomini convergono in Lui.
Il Papa ancora dice: “La figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per creare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri, ma per dirci che in Lui tutti siamo stati chiamati ad essere figli dell’unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione e non per l’esclusione. Perché l’incarnazione, cioè il fatto che il Figlio di Dio sia venuto nella nostra carne e abbia condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza, sino al grido della croce, vivendo ogni cosa nell’amore e nella fedeltà all’Abbà, testimonia l’incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce. Ognuno di noi, per questo, è chiamato a far suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire”. Noi dobbiamo imparare a percepire la dignità della fede, che ci è data per grazia, e sapere che questo dono è la verità e non un prodotto della nostra mente, non un’opinione tra le tante opinioni. La fede cristiana dice che Dio si è fatto uomo e per questo noi siamo chiamati a entrare in rapporto di famigliarità con lui: figli nel Figlio. Attraverso questo legame con Gesù noi entriamo nel rapporto con Dio che è Trinità di amore. E questo interessa tutti perché Gesù è venuto, è morto ed è risorto per tutti e tutti siamo destinati a Cristo!
Fra poco sarà Natale. Ma cosa incontreremo a Natale! E’ impressionante! Una ragazza di 16 anni che si consegna a Dio, nel suo corpo sboccia la vita del Figlio di Dio. E lo sappiamo con la luce della fede: quell’uomo che abbiamo accolto bambino a Betlemme è davvero il Figlio di Dio! Questo è il motivo per cui i Giudei si sono scandalizzati e lo hanno fatto morire: “Tu che sei uomo, ti fai Dio? Questa è una bestemmia!” E Gesù l’aveva appena detto: “Io e il Padre siamo una cosa sola!” Gesù ha voluto patire il dramma dello scandalo dei suoi compaesani: “Ma tu, il falegname di Nazareth, chi credi di essere?” La nostra fede è impregnata di questo dato sicuro: il fascino di un Dio che vuole entrare in una relazione da uomo a uomo, che accetta la legge della nostra umanità. Noi che facciamo così fatica ad accettare la nostra corporeità, noi che vorremmo essere sempre diversi, noi che ci accorgiamo che il tempo ci trasforma, ecco ci rendiamo conto che Dio invece vuole entrare in rapporto con noi per poterci abbracciare ed essere abbracciato. Qui siamo lontani mille miglia da tutte le fantasie religiose. Siamo a contatto con un mistero che mai avremo potuto immaginare, né costruire con la nostra mente. E’ Lui, Dio, che si è mostrato e rivelato con una presenza. E come capita sempre, le presenze non si dimostrano, non si ragionano: o si accolgono o si rifiutano. Un bambino non deve dimostrare la presenza di sua madre: o la riconosce o non la riconosce.
Gesù ha voluto patire questo, ha voluto offrirsi alla libertà dell’uomo così: unico modo dignitoso di offrirsi, perché se si fosse presentato come l’idea che razionalmente era comprensibile alla nostra ragione, ci avrebbe soggiogati, costretti. Invece si presenta nel chiaro – oscuro di una umanità come la nostra. E Pascal diceva che dentro a questo chiaro – scuro c’è tanta luce per cui possiamo vedere, ma c’è anche tanta ombra per cui possiamo rifiutare. In questa ambivalenza c’è la possibilità che ciascuno possa mettere in atto la propria libertà e dire Sì come ha fatto la Madonna. E’ delizioso un Dio che vuole costruire il suo Regno con uomini liberi di stare con Lui, di parlare con Lui, di discutere con Lui. Egli instaura un rapporto dialettico, non c’è omologazione assoluta perché ognuno rimane con le sue caratteristiche: pensiamo per un attimo alle diversità e alle differenze tra gli apostoli. Le ideologie invece comprano la testa e rendono gli uomini uguali. Dio, invece, prendendo la forma umana rispetta ogni uomo mettendosi alla sua portata. Quando non accettiamo di entrare nella logica del rapporto con Lui che si è dato a noi, entriamo in un groviglio tale che non capiamo più niente. La vita diventa un labirinto ma la verità che è Cristo, come il filo di Arianna, ci conduce dentro le difficoltà della vita. Ma non può essere un filo immaginario, Egli è uno al quale possiamo dire: “Tu, conducimi, Tu amico mio! Non ho ancora visto il tuo volto, non vedo il tuo volto, vorrei essere come i primi che ti hanno visto. Ma S. Agostino diceva che non è necessario perché anche i primi che lo vedevano lo confondevano con uno tra i tanti uomini. Come potevano vedere in Lui il figlio di Dio? Lo hanno capito dopo: basta pensare ai discepoli di Emmaus. E’ la storia dell’amore. Noi le cose le comprendiamo dentro al tempo, la nostra vita si svolge attraverso il limite del tempo che non è nell’iperuranio, nell’illimitato come pensano i tanti razionalismi o anche tante politiche le quali tendono a ridurci a numeri. Dio non ci riduce a numeri! Non siamo quelli che dobbiamo pagare le tasse, non siamo quelli che devono sottostare alle leggi della strada, anche se tante volte immaginiamo che la vita cristiana sia irta di grandi comandamenti. E quali sono? Cerca di voler bene agli altri come vuoi bene a te stesso e come vuoi bene a Dio. Ecco perché il Papa può serenamente dialogare con un laico e affermare che nell’incarnazione del Figlio di Dio c’è la verità del mondo. E per chi non credesse, questo non è un ostacolo o una colpa, perché a lui non è ancora stata data la fede di vedere in quell’Uomo il senso della storia. La fede è una grazia e quando un uomo si interroga è già sulla buona strada.
Per poter vedere l’amore dobbiamo vedere dei segni. E Dio ci ha dato come segno suo figlio che è morto sulla croce per ciascuno di noi ed è risorto. E questo è successo perché vuole che noi entriamo in stretta relazione con la Sua vita e con l’eternità. In Lui siamo tutti chiamati ad essere figli dell’unico Padre e fratelli fra di noi. Qual è il rapporto che mi definisce? A chi appartengo? Se io non appartengo a nessuno, non amo nessuno. Se non sono amato da nessuno, sono un orfano, un abbandonato, un escluso, uno svuotato di dignità. La nostra identità di cristiani sta nell’appartenere a Cristo, essere legati a Lui e sentirci amati da Lui. Capire queste cose è frutto della grazia dello Spirito Santo che ci fa vedere le cose con gli occhi di Cristo. Lo Spirito Santo agisce dentro di noi perché ci dilatiamo e lo desideriamo. Da questa sera con la liturgia della prima domenica di Avvento diremo: “Vieni, vieni Signore Gesù! Mostraci il tuo volto! Fai vibrare in noi quanto il Padre ci consideri preziosi. Il Padre, guardando in ciascuno di noi, vede suo figlio prediletto, l’amato, capace di consegnarsi a Lui in una reciprocità assoluta. “Quello che vuoi Tu, lo voglio anch’io”. Per questo – conclude il Papa – ognuno di noi è chiamato a fare suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire.
Ma come stare nella società di oggi? La società di oggi esclude la fede e si costruisce un’alternativa, dicendo che la fede è pericolosa perché sentendosi investita dalla verità stessa di Dio finisce per squalificare tutte le altre posizioni. Di qui nasce una società senza Dio e che sta provocando una incrinatura alla nostra fede. Anche noi stiamo cedendo di fronte ad una cultura positivista, efficentista, pragmatica, materialista. Ci stiamo accomodando cercando delle conciliazioni. Quel mondo che giudichiamo senza Dio non è tanto fuori di noi, è anche in noi. E’ necessario uscire allo scoperto e chiederci: “Qual è il volto con cui ci presentiamo al lavoro, a scuola, a casa. Com’è il volto con cui guardo i fratelli?”
Riprendiamoci la consapevolezza della bellezza della verità che ci è stata donata e ripartiamo dalla nostra dignità e identità di cristiani.
P. Antonello Erminio