Sia santificato il tuo nome

La domanda che segue, pur ridotta rispetto al parallelo di Matteo, non è però meno intensa. Il passivo divino “sia santifi­cato” pone in primo piano l’azione della sua grazia nel dilatare la santità nel mondo. E’ Dio l’attore principale della santità. Ma nello stesso tempo, non nominandolo direttamente, viene la­sciato spazio all’azione dell’uomo. Dio vuole entrare nel mondo che già è suo, ma vuole farlo attraverso la libertà dell’uomo. Questo è il grande mistero della nostra esistenza e la nostra grande opportunità.

Chi prega “sia santificato il tuo nome” esprime il grande desi­derio che Dio mostri pienamente la sua gloria dentro a questo mondo. Prima di tutto, la domanda riguarda me in prima per­sona: se la sua gloria e la sua signoria non si affermassero sareb­be in pericolo la mia stessa vita, non solo fisica, ma anche quella spirituale. lo sono me stesso nella relazione filiale e creaturale con Dio. “Sii  o Signore”, verrebbe da tradurre, perché solo così io posso esistere. Poiché senza di te nulla mi è possibile.

In secondo luogo, la domanda riguarda tutti gli uomini. Santifi­care il nome di Dio significa riconoscere la sua santità: che la sua paternità sia nota, amata, tenuta in conto da me e da tutti i suoi figli. Perché se la sua paternità entra nel cuore di ogni uomo, allora cresce la giustizia e la pace fra gli uomini.

Ritraduciamo sinteticamente questa invocazione che Gesù ha voluto che riempisse il sentimento religioso dei discepoli di tutti i tempi: che tu, o Dio, possa venire riconosciuto come il Santo, il Trascendente, il punto di tenuta della realtà. Se Questo avviene: allora anche noi, granellini di sabbia nel flusso del mondo, ab­biamo un unto di sostegno, e possiamo esistere.

Mai come oggi, “in tempo di privazione di Dio” è significativa questa invocazione. L’uomo della modernità che si è privato di Dio è caduto “nella notte del mondo” secondo la lettura metaforica del tempo moderno fatta da M. Heiddeger: “Non solo gli dèi e Dio sono fuggiti, ma si è spento lo splendore di Dio nella storia universale. Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché diviene sempre più povero. E’ già tanto po­vero da non poter più riconoscere la mancanza di Dio come man­canza. (M. Heiddeger, “Perché i poeti?”, in Sentieri interrotti, Firenze la Nuova Italia, 1968, 247). Precisamente questa è la povertà del nostro tempo: essendosi esso affidato alla tecnocrazia ed alle interpretazioni socio-psicologiche dà ad ogni cosa la dimensione del consumo, del profitto e del funzionale, e non quella della santità, cioè della verità.

Pertanto, chiedere che si manifesti la santità di Dio nel mondo e che perciò il cuore dell’uomo abbia a risentire lo splendore della bellezza di Dio come compimento per la propria vita esprime l’esigenza missionaria più significativa del nostro tempo. E’ do­mandare che avvenga un mutamento di rotta, che la santità di Dio ritrovi lo spazio che le spetta, poiché senza questa relazione con la presenza di Dio l’uomo diventa “oggetto” dei suoi stessi processi.

 

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