sabato 25 ottobre 2014
“L’anima mia ha sete del Dio vivente: quando vedrò il suo volto?”
Con la preghiera del salmo 41 è iniziato il nostro 1° incontro con la Parola.
Padre Antonello ha avviato la sua riflessione dicendo che noi possiamo placare il desiderio del cuore quando ci accade la grazia di poter dire la parola “Dio vivente” senza banalità o sentimentalismo, ma sentendo la gioiosa percezione che il volto del Dio vivente è un padre che ci è vicino e ci ascolta. Corriamo però il rischio che le parole che cristianamente diciamo si consumino, si logorino e quindi perdano il potere di sostenerci nel cammino della vita. Il Sal. 41 invece, esprime una grande verità e cioè il desiderio del cuore di poter davvero incontrare il Signore. Ricominciando questo cammino mi domando: “Quanti anni sono che vengo a Montanaro? E in questi anni che cos’è cambiato per me, per voi ? Per me è diventato un appuntamento che mi ha arricchito, mi ha aiutato a percepire che c’è un popolo di Dio. Il raccontare di Gesù è sempre interessante: l’attenzione che mi avete dato mi ha fatto percepire come nel raccontare il Signore c’è sempre una novità.
Il ricominciare anche quest’anno non sarà una banalità, un rito, ma deve essere un movimento del cuore, l’accettare la sfida del camminare passo dopo passo. E mi auguro che anche per voi sia così. Credo che in questi anni, poco alla volta siano cambiati dei codici di interpretazione del reale, che abbiate ricevuto delle chiavi di lettura per guardare la vita in maniera meno schematica. L’esperienza ci dice che il rapporto con Dio non è sempre placido e tranquillo, ma dialettico con le sue complicazioni. Non si può immaginare che la vita sia sempre scritta con la mano destra, a volte è scritta con la mano sinistra. Ma sempre, accada quel che accada, Dio è Padre. Se noi, negli incontri passati, siamo riusciti a imparare questo probabilmente qualcosa è accaduto dentro di noi. L’augurio che faccio a me e a voi è che i passi che faremo quest’anno non siano passi traballanti ma passi veri. Per fare questo, riprendiamo l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” che papa Francesco ha scritto di sua mano con la caratteristica che gli è propria: di un uomo che aiuta a guardare la Chiesa in un modo nuovo, non perché quello antico non fosse valido ma perché oggi sono cambiati i tempi e perciò dobbiamo avere elasticità di mente e di cuore per scoprire che Dio ci parla attraverso gli avvenimenti. Infatti Lui si è immischiato nella storia, si è incarnato, ha preso un volto umano, è entrato dentro nel tempo, ha preso la nostra fragilità che mal sopportiamo perché vorremmo essere eterni, sempre sulla cresta dell’onda, vorremmo essere infiniti. Invece Dio, che è l’eterno, è entrato nella nostra finitezza e debolezza, si è fatto umano, si è mescolato con noi. E il Papa, nell’Evangelii Gaudium, ci spinge a interpretare la storia con lo sguardo di Dio. Noi abbiamo la tendenza a guardare il tempo che viviamo sotto l’aspetto negativo, per quello che non va, invece il Papa ci invita a guardare il tempo che passa anche attraverso il bene che c’è dentro. Il Vangelo è una parola bella che indica un annuncio, qualcosa che non produce l’uomo, ma che viene dal di fuori, da Dio: “Amici voi vivete nella paura, nella sensazione del tempo che vi divora, ma io vi dico, voi siete amati nel più profondo, persona per persona, siete amati nel vostro male. Site amati!”Gesù Cristo morendo in croce ci dice che l’amore è invincibile, perché è più grande del nostro male e della morte. Questo è il Vangelo, la bella notizia che genera la gioia.
Dove sta la vera gioia?
Siamo in un mondo scettico dove si fa credere che essere felici non è possibile, e man mano che si avanza nella realtà tanto maggiormente si ha questa tendenza a disprezzare il mondo e a sentirlo non capace di rispondere al desiderio profondo di essere felice davvero. Ora, se c’è un luogo dove si vede che il Vangelo è radicato in una persona è la sua gioia, perché il Vangelo ci dà l’orizzonte della vita. Senza orizzonte la vita diventa drammatica, perché se l’orizzonte della vita è morire, a che cosa è servito tutto ciò che siamo stati. Ora Gesù ci dice che l’orizzonte della vita è il Paradiso. “Il grande rischio della società attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata”. Vi sottolineo gli aggettivi che il Papa usa: offerta di consumo molteplice e opprimente. La vita è ridotta a consumo: avere tutto, accumulare. Avete mai provato la gioia nel dire: Questa cosa mi piace davvero, ma siccome non mi è necessaria, dico di no! Vi invito a fare la prova. Provate a dire: Questa cosa è bella, ce l’hanno tutti, mi piace tantissimo, è fatta proprio per me, ma non la prendo! Provateci! Vi dico che all’inizio sentirete l’amarezza di una perdita, di una rinuncia, ma poco alla volta si trasformerà in una grande liberazione interiore. Ecco, noi siamo, in modo opprimente, stimolati a consumare, ad avere e perdiamo la capacità di gustare la realtà. Il desiderio di consumo genera la tristezza che si vede alla domenica sera, prima che incominci il lavoro, la scuola, … perché si è immaginato il sabato e la domenica come cose nostre da godere. Questa tristezza scaturisce da un cuore comodo e avaro. Cosa vuol dire comodo? Che cerca ossessivamente la soddisfazione nella comodità, nel non sacrificarsi. Quando uno non è impegnato in qualcosa, alla fine è nauseato, ed è avaro perché tende a trattenere per sé. L’avaro è colui che pone nelle cose ha la propria felicità. Tutto ciò genera amarezza e tristezza. “Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi, non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, muore l’entusiasmo di fare il bene”. Ricordate il Vangelo? Chi cerca se stesso si perde. Chi si perde per me, si ritrova. “Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente”. E’ un rischio certo perché tutti noi l’abbiamo sperimentato quando abbiamo messo il cuore nelle cose. Ed è permanente perché appena dici di no ad una cosa, mille demoni percorrono la fantasia. Ti vengono in mente le scarpette che potrebbero essere utili e poi. …. un paio di occhiali nuovi perché quelli che hai è da tanto che li usi. E così, vero? “Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite”. Ah, bello, Signore! Ti ho dato la camicetta, ti ho dato le scarpette, gli occhiali e mi hai fatto incontrare quella vicina di casa che è insopportabile. Potevi risparmiarmelo! E si vive da persone risentite, “scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi”. Dio non vuole vederci lombrichi che strisciano per terra. Diceva un autore francese: “Come siamo fatti! Troppe volte, noi preferiamo restare allo stadio di bruco e non accettare la fatica di diventare farfalla per poter volare, semplicemente perché stiamo più comodi nel bozzolo piuttosto che accettare la sfida di affrontare l’aria”. Dio desidera che noi impariamo a volare, Dio ci ha resi diversi dagli animali. Gli animali guardano per terra, noi invece siamo fatti per guardare il cielo. Dio ci vuole così: piedi per terra e gli occhi al cielo, alla trascendenza. Quando ci si chiude, quando ci si rannicchia su se stessi, sui propri piccoli o grandi piaceri, quando si ripone la fiducia di se stessi nelle cose che si fanno: questo non è desiderio di Dio. “Questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto (EG 2)”. Rischiamo di essere contagiati dal materialismo di questo mondo. Che cos’è il contagio? Abbiamo sentito parlare di Ebola? Ok! Ricordiamoci che c’è anche un contagio spirituale. Ricordate Cernobyl? Si aveva paura di mangiare l’insalata perché poteva essere contaminata dagli atomi di uranio che generano tumori nel nostro corpo. Noi siamo infestati da una corrente culturale che predica continuamente lo stare bene, il mangiare, il godere. In alcuni ambienti non si parla che di questo! Poter invece dire: “Ho vissuto due giorni felici: ho incontrato degli amici, sono stato con la mia famiglia, i miei figli felici: è stata una grande gioia! Sì, non abbiamo fatto nulla di speciale, semplicemente siamo stati insieme raccontandoci le cose belle della vita. Il mondo in cui viviamo è triste. E il cristiano, che è dentro a questo mondo, che cosa fa? Il Papa ci ricorda che il cristiano è chiamato presentare un altro mondo, un altro modo di vivere.
Rischiare il senso della vita per il Signore
“Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo”. E come si incontra Gesù Cristo? Egli non è un fantasma perchè si lascia incontrare nella comunità. E’ la comunità il luogo in cui Egli vuole identificarsi: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là io sono presente”. Dunque, il Signore, oggi si rende presente nella nostra vita. Io cercherò di prestargli qualche parola, il Papa ne presta altre e ciascuno di noi offre la propria attenzione. Ed è in questo scambio, in questo rapporto che avviene l’incontro. Con l’azione dello Spirito Santo, le parole che ci diciamo possono toccarci facendoci passare in rassegna la nostra vita personale: “Qui bisogna tagliare, là bisogna irrigare, in quell’altro posto bisogna esporre al sole!” Qualcosa cambia dentro di noi e diventiamo più sicuri, più animati interiormente. Questi sono i momenti belli di incontro personale con il Signore. Ed è sempre una grande grazia poterlo incontrare. “O, almeno, prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non sia per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Il Signore non lo delude chi rischia per Lui, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti! (EG 3). Cosa vuol dire che non dobbiamo fuggire dalla risurrezione di Gesù? Egli è Risorto, quindi, accada quel che accada, neanche la morte, che è la grande padrona sul mondo, può vincerci. Pochi giorni fa il Papa ha fatto un fortissimo intervento contro la pena di morte e l’ergastolo perché disumani. Per dire che non si può più adottare la giustizia retributiva – occhio per occhio, dente per dente – ma piuttosto applicare il criterio della misericordia di Dio. Ma il mondo non la capisce. La misericordia non è priva della giustizia, anzi, la supera infinitamente, dà sempre una possibilità, apre orizzonti nuovi perché Lui è il Risorto e può dare la vita dove c’è la morte. Questa è la novità cristiana, questa è la buona notizia del Vangelo! Evangelii Gaudium – La gioia del Vangelo!
Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza la Pasqua
Riconosco che la gioia non si vive allo stesso modo in tutte la tappe e circostanze della vita, a volte molto dure. Si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto .……. La tentazione appare frequentemente sotto forma di scuse e recriminazioni, come se dovessero esserci innumerevoli condizioni perché sia possibile la gioia. Questo accade perché «la società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia». Posso dire che le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di persone molto povere che hanno poco a cui aggrapparsi. Ricordo anche la gioia genuina di coloro che, anche in mezzo a grandi impegni professionali, hanno saputo conservare un cuore credente, generoso e semplice. In varie maniere, queste gioie attingono alla fonte dell’amore sempre più grande di Dio che si è manifestato in Gesù Cristo. Non mi stancherò di ripetere quelle parole che ci conducono al centro del Vangelo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva».Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio … giungiamo ad essere pienamente umani. Siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri? (EG 6-8)Ricordiamo che si vive la vita sempre in un rapporto con l’altro e, se questo rapporto è buono, aperto, bello, generoso, capace di generare il gusto della vita, allora la vita fiorisce, diversamente la vita si chiude e appassisce.
La legge della gioia fondamento e ragione dell’annuncio evangelico
Abbiamo detto che il 1° fondamento della gioia è l’incontro con Cristo perché è la risposta al bisogno più profondo che c’è in noi. L’incontro con Lui è lo stupore di un rapporto profondo dove il tempo non conta più. Ma dove vediamo il Signore? Lo vediamo nell’altro. Questo è il punto su cui facciamo una grande fatica, perché tutti desideriamo incontrare il Signore, ma quanta fatica vedere negli altri il volto di Dio! Solo chi è toccato dal Vangelo sa cogliere nel fratello, anche il più antipatico o noioso, il richiamo a Cristo. L’altro, comunque sia, ha dentro di sé il potere di richiamarci a quello che noi non siamo, cioè a quell’altro che è il Signore. “Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri”. Si diventa sensibili agli altri perché prima si è sensibili a sé stessi, perché si è capito l’impasto di miserie, di debolezze e di fragilità che noi stessi siamo. “Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa”. La strada per la propria liberazione consiste nel riconoscere l’altro. Che cosa vuol dire riconoscere? Riflettere su di lui un giudizio benevolo, uno sguardo sereno. In questo modo si innesca un circolo virtuoso che permette di sentirci bene. “Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene”.“Non dovrebbero meravigliarci allora alcune espressioni di san Paolo: «L’amore del Cristo ci possiede» (2 Cor5,14); «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). … «La vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio». Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale: «Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri”. Non è linea diretta che si ottiene la gioia. Il vero dinamismo della realizzazione personale non è quello di catturare qualcosa che ci dia soddisfazione, ma quello di impegnarsi per un significato: dona benevolenza e otterrai benevolenza, dona stima e otterrai stima, dona apprezzamento e ti apprezzeranno. Impariamo a sorridere alla vita, a seminare il gusto della vita! “La missione, alla fin fine, è questo. Di conseguenza, un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale. La Buona Novella non si espande con evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma con ministri del Vangelo la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo. (EG 9-10)