Pietro mi ami tu?

Domenica 28 aprile alle ore 15 sarà con noi P. Antonello Erminio per l’ultimo incontro con la Parola. Dopo la Risurrezione, Gesù va a riprendere i suoi discepoli, vuole che essi riconfermino il loro rapporto con Lui con un gesto della loro libertà. Gli apostoli sono sconvolti per la loro infedeltà e il tradimento. Gesù però non si spaventa di questo. Ed allora è Lui stesso che va a cercarli.

L’incontro è aperto a tutti!

Qui puoi ascoltare la prima parte della meditazione

Seconda parte della meditazione

Pietro mi ami tu? (Gv 21,15-23)

  1. Dopo la risurrezione, Gesù va riprendere i suoi discepoli vuole che essi riconfermino il loro rapporto con Lui con un gesto della loro libertà. Ma essi sono sconvolti per la loro infedeltà e il tradimento. Gesù però non si spaventa di questo. Ed allora è lui stesso che va a cercarli. Si presenta loro nell’atto di Gesù di “dare da mangiare” e di “preparare il pasto”: sono gli atti della cura materna che, offrendo da mangiare (“prese il pane e lo diede loro”), mostra l’assioma basilare della vita: far vivere l’altro volendogli bene. Il mangiare infatti fa vivere. Ma il pane e il pesce sono già preparati e cotti al fuoco (“scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane”), cioè impastati con l’affetto di chi vuol loro bene. Questi è Gesù, il Risorto: colui che si mette a disposizione dei discepoli e li nutre, cioè li fa vivere. E con il “pane eucaristico”, adombrato nello schema della liturgia dell’ultima cena (“prese il pane e lo diede loro”), riporta i discepoli a saperlo riconoscere come il Crocifisso risorto che dona loro la vita.
  2. Questo offrirsi di Gesù implica anche la corrispondenza dei discepoli. Ecco allora che Gesù coinvolge il primo dei discepoli. Aveva come noi tutti tradito, eppure Gesù resta fedele e provoca, ancora una volta, la sua libertà a rispondere. Il limite non ferma Gesù: anzi proprio quel limite diventa fonte di un grido più forte, poiché mostra più acutamente il bisogno di salvezza:

15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami (ἀγαπᾷς με) più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene (φιλῶ σε)». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami (ἀγαπᾷς με)?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene (φιλῶ σε)». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene (φιλεῖς με)?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene (φιλῶ σε)». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

In questo brano ci sono certamente i motivi del conferimento del mandato a Pietro di prendersi cura dei fratelli e di confermarli nella fede. C’è anche in sordina il richiamo al triplice tradimento di Pietro. Ma più in profondità è qui a tema ciò che sta a cuore al Signore: suscitare nel discepolo un’adesione di totale consegna di sé nella relazione di amore. Perché l’amore è la pienezza della fede. Gesù vuole che venga superato ogni residuo di attaccamento a sé per legarsi a Lui. Il discepolo deve imparare a spodestarsi e a mettere il Signore al centro.

  1. La sequenza di domande simili crea l’atmosfera di un crescendo emotivo che costringe Pietro a dare una risposta sempre più soppesata con la consapevolezza di quanto afferma. Non può rispondere senza capire in profondità che cosa significhi che Gesù gli chieda se lo ama. Pietro deve iniziare a percorrere la via della croce, cioè del servizio pastorale fino alla morte come il suo Signore. Questo gli dirà il Signore alla fine: “… quando sarai vecchio un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. E gli disse questo per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio”. La scena costruita sulla triplice confessione di amore intende riabilitare Pietro nella relazione d’amore con Gesù dopo il triplice rinnegamento.

Ma non contiene solo questo, contiene anche due altri elementi che segnano definitivamente la vocazione di Pietro: il ministero pastorale affidatogli e l’annuncio della sua morte nell’imitazione del Maestro. Il Risorto non solo riabilita Pietro, ma ne fa anche un altro uomo: aprendolo all’orizzonte del servizio di fede e d’amore ai fratelli e chiedendogli la definitiva sequela dell’imitazione fino alla morte in croce. Qui inizia la sua nuova vocazione, che è la ripresa a livello di coscienza credente della prima sequela di Gesù. Così la scena di Gv, 21 coincide con il nuovo orizzonte che si è aperto con la Pasqua.

La storia di tradimento di Pietro deve essere trapassata dal dolore per l’infedeltà e quindi essere spogliata dall’orgoglio e dall’ostinazione. Senza questo dolore non si ha amore. E così Gesù risorto costringe Pietro alle corde con le sue domande taglienti, finché questi dopo avergli risposto in maniera identica e un po’ superficiale per due volte è costretto, la terza volta, a dargli una progressione decisiva: “Certo, Signore, tu lo sai. Tu sai tutto, Tu sai che ti amo”.

A questo punto, Pietro è pronto per l’ultimo passaggio di essere completamente a disposizione per “andare dove un altro lo condurrà”. E’ la vita di fede che culmina con la consegna totale di sé al destino a cui da sempre si è stati destinati.

  1. La storia della vita del discepolo è una storia d’amore. Vale a dire fare talmente spazio dentro di sé in modo che ad occuparne il vuoto sia il Signore. Avere fede vuol dire amare. Ma noi non ne siamo pienamente capaci. Noi tendiamo continuamente a riprenderci lo spazio che diamo al Signore. E infatti il racconto continua.

Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». 21Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». 22Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». 23Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».

Il discepolo che ama è colui che ha la potenza di rimanere fino a che il Signore compirà la storia umana. Perché è l’amore che attraversa i secoli ed entra nell’eterno. Tutto il resto resterà fuori dalla vita eterna.

Domandiamoci:

  1. Che il Signore ci abbia amati fino al dono di sé significa che ci ha dato il suo Spirito. Ha effuso in noi se stesso, la parte più intima di sé, il suo Spirito d’amore. Se noi possiamo amare persino i nostri nemici (quelli che ci fanno del male) è perché prima siamo amati. E questo amore ci sazia. Faccio esperienza di questo amore gratuito di Gesù che mi anticipa? O sono semplicemente un devoto che si sente auto gratificato per le sue opere buone e le sue preghiere?
  2. L’amore è sempre abbinato alla libertà. Sento nascere dal fondo del mio cuore l’atto di fede con cui mi consegno al Signore? “Con infinita umiltà mi apro al tuo sguardo Signore, non perché il mio cuore è puro, ma perché il tuo sguardo è buono”: questo sentimento batte dentro di me nel fondo della mia coscienza? Mi fa sentire di essere amato in modo tale che mai nessuno mi ha amato in questo modo?

 

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