Inseriamo l’audio della prima e seconda parte della catechesi tenuta da P. Antonello Erminio: Il Paradiso nella comunione dei Santi, domenica 10 marzo 2024, alle ore 15.00 presso la Casa Madre.
Aggrappati all’affetto di Gesù morto e risorto per noi, e noi con Lui, guardiamo al nostro destino di gloria.
Il paradiso è diventato una nozione astratta, scialba e dimenticata. Non se ne parla più. Così la vita appassisce e si svuota di tensione se non c’è attesa della meta verso cui tutto di noi è orientato. Viviamo come turaccioli sballottati sulle onde del mare, mentre le onde richiedono una riva su cui posarsi. Dio ci ha creati per essere pienamente felici: e questa felicità, che nel tempo presente ci sfiora soltanto in alcuni momenti, ci è assicurata in pienezza nella fede della Risurrezione di Gesù. Possiamo dire che il paradiso è il regalo con cui Dio porta a compimento la nostra nascita, rendendo evidente quanto la nostra umanità “creata”, nella storia della sua libertà, si è lasciata assimilare al Suo mistero divino. E così ci abilita a condividere la sua vita di comunione divina con tutti coloro che hanno creduto nel suo Figlio. Noi credenti infatti siamo ancorati alla promessa di Gesù:
“Io vado a prepararvi un posto perché siate anche voi dove sono io. … Io vivo e voi vivrete: in quel giorno voi capirete che Io sono nel Padre e voi in Me e Io in voi” (Gv 14, 2-3; 19-20).
E la promessa di Gesù non è come le nostre promesse, avventate e incerte. La promessa di Gesù porta in sé anche un risultato sicuro. Di questa promessa vivevano i primi cristiani, ma purtroppo nel nostro tempo essa è stata capovolta: si vive illudendosi di costruire qui una “terra promessa con le nostre mani”, basata sull’autogratificazione e sul soddisfacimento dei propri desideri di possesso, di potere e di piacere. La realtà però è fedele al suo Creatore e queste soddisfazioni che si costruiscono non reggono: finiscono, e lasciano l’amaro in bocca. La promessa di Dio invece discende all’alto: è la sua stessa vita che s’innesta sulla nostra. E’ questo innesto che rende felici, cioè con la parola della tradizione è il paradiso. Esso è descritto nella bella metafora dell’incontro sponsale del Libro dell’Apocalisse:
“E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima, infatti, erano scomparsi e il mare non c’era più. 2 E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3 Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. 4 E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate”. 5 E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, Io faccio nuove tutte le cose”. E soggiunse: “Scrivi, perché queste parole sono certe e vere”. E mi disse: “Ecco, sono compiute! Io sono l’Alfa e l’O l’Omèga, il Principio e la Fine. A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell’acqua della vita. 7Chi sarà vincitore erediterà questi beni; Io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio” (Ap 21, 1-7).
Il paradiso è la felicità allo stato puro, poiché in esso la creatura ha raggiunto la sua destinazione che colma il suo desiderio di vita piena. Al di là delle metafore spaziali con cui è stato immaginato anche dagli autori biblici (cielo, cieli e terra nuovi, nuova Gerusalemme celeste, città santa, patria celeste …), il paradiso consiste nell’unione amorosa con il Signore Gesù, conosciuto e amato nella trasparenza di un amore senza ombre: “Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con Lui nella gloria” ( Col 3,4).
Oltre la morte, chi crede ed è unito a Cristo, si trova attratto nella gloria della sua risurrezione che introduce nel vortice d’amore di Dio, Padre Figlio e Spirito Santo. E nel Signore Gesù glorioso, anche con tutti coloro che si sono lasciati attrarre da Lui nel suo Corpo: la Vergine e tutti gli umili peccatori pentiti e consegnati alla sua misericordia che sono i santi, cioè ogni uomo che, nella sua libertà, si conceda al Signore.
Nel salmo 73 si dice bene che cos’è il paradiso: “Io sono sempre con Te … cos’altro ho in cielo se non Te … per me l’incontrarmi con Dio è il mio bene!”. Essere con Dio, questo basta! Diceva sant’Agostino: “Dio, proprio Lui, dopo questa vita è il nostro luogo”.
“Dio è il cielo – diceva Balthasar – per chi lo raggiunge, l’inferno per chi lo perde, il giudizio per chi è esaminato da Lui, il purgatorio per chi è purificato da Lui. Egli è colui per il quale muore tutto ciò che è mortale e che risuscita per Lui e in Lui”.
Uno squarcio di visione sul paradiso
Come sarà il paradiso non è a portata della nostra intelligenza, né della nostra immaginazione. Il piacere si può produrre come conseguenza di qualche meccanismo, ma la gioia della coscienza, nemmeno quella della terra, non la si può decidere. Accade per miracolo. E quasi sempre quando meno la si aspetta, poiché nessuno può dedurre una gioia come esito delle sue azioni. Possiamo però intuirne qualche frammento sulla base di alcune esperienze umane di felicità, che già ora possiamo vivere. Il motivo è semplice: perché vi è una affinità tra noi e il “vivere” in Dio essendo creati a sua immagine. Anche se la gloria beatifica del futuro ci resta inafferrabile, possiamo intuirne, come attraverso alcuni sprazzi di umanità piena, “qualcosa”, e solo qualcosa, di come sarà il vivere beato del paradiso.
Una delle maggiori sofferenze dell’uomo è l’impossibilità ad essere presente in piena trasparenza alle persone amate. C’è sempre qualche estraneità ed ombra tra persone che si vogliono bene. Nel paradiso quest’ombra sarà tolta, poiché l’amore divino sarà l’atmosfera della comunione che vive tra i santi in Cristo.
“Ora noi vediamo come in uno specchio, in maniera enigmatica – dice san Paolo, ma, allora vedremo a faccia a faccia” (1 Cor 13, 12).
Il “vedere a faccia a faccia” è il vedere “affettivo”, quello dove gli sguardi, incrociandosi, esprimono una reciproca appartenenza e dove il desiderio di ognuno trova appagamento nel desiderio dell’altro. Questo sguardo affettivo indica la comunicazione diretta e immediata che avviene nel grembo misterioso del Dio trinitario in comunione con tutti i salvati, come appunto avviene nell’amore:
“Conoscerò come sono conosciuto” (1 Cor 13, 12).
L’amare e l’essere amati sarà la vita soprannaturale in Dio, ove il libero e gratuito scambio d’affetto, senza timore d’essere fraintesi, sarà l’intima gioia personale nella diversità delle storie di libertà che ognuno ha costruito. Allora, immersi nel vortice d’amore del Figlio fattosi carne, morto e risorto per tutti, Dio distruggerà qualsiasi realtà che possa mortificare il desiderio di felicità di ciascuno. Allora Dio
“sarà tutto in tutti” (1 Cor 15, 24-28) e “Dio dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed Egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi. E non ci sarà più la morte, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 3-4).
In altre parole, possiamo dire che il paradiso è la festa degli affetti, dove tutti i legami puri e sinceri, che abbiamo intessuto e per i quali ci siamo generosamente sacrificati, ci appariranno in tutto lo splendore dell’amore umano trasformato dal braciere ardente dell’amore trinitario. Si farà allora la festa della coincidenza dei desideri: il nostro di Dio e il desiderio di Dio per noi. Lo sappiamo anche per esperienza umana che, quando due desideri si corrispondono, è la gioia più profonda a cui si possa aspirare.
Visione beatifica: che s’intende?
La verità della fede sul paradiso è espressa con queste parole: “I beati vedono l’essenza divina, a faccia a faccia, senza che ci sia la mediazione di alcuna creatura, in modo scoperto, chiaro e palese” (cf DS 1000). I teologi la chiamano “visione beatifica”. Ora la parola “visione” va intesa bene. Il “vedere” è una delle esperienze umane più profonde che permette la compenetrazione di una persona nell’altra: lo sguardo è infatti il modo di intendersi e percepirsi reciprocamente in sintonia d’animo. E questo avviene quando lo sguardo è alimentato da un’attrazione amorosa. Ed è precisamente quello che avviene tra i beati e Dio: essi sono immersi nella fonte viva dell’Amore stesso, partecipando a conoscere come egli “è” e “vive” nella reciprocità gioiosa della dedizione gratuita di ogni singola Persona divina.
La nostra partecipazione non sarà come quella di persone esterne di fronte a uno spettacolo, ma è un coinvolgimento dall’interno dell’Amore di Dio. Per questo rende felici, perché si è saziati, colmati e coinvolti nella totalità dell’Amore. Perciò il “vedere” della visione beatifica è lo stupore estatico di chi si sente avvolto da una gratuità e da una bellezza che lo supera da ogni parte. La gloria o bellezza di Dio avvolgerà ogni beato, nel senso che in nessuno dei beati resterà qualche ombra di non-amore, anche se ciascuno abbraccerà la beatitudine nella misura in cui è capace di contenerla, cioè nella misura in cui ciascuno l’ha desiderata e ricercata nel tempo della sua libertà.
Immobilità di tempo e di spazio nel paradiso?
Nel paradiso tutto sarà fermo e statico dal momento che non ci sarà più tempo, né spazio? Se così fosse non sarebbe una noia? Nel nostro mondo “tempo e spazio” sono le coordinate del nostro limite e la condizione del nostro movimento; nel mondo di Dio tempo e spazio saranno trascendenti, e dunque diversi dalla nostra esperienza umana. Sono il tempo e lo spazio dell’amore. Che le tre persone divine si consegnino reciprocamente l’una nelle mani dell’altra e che attraggano a sé tutti i beati nella gioia di una corrispondenza reciproca, è un dono che si rinnova continuamente. Il tempo in Dio è questo incessante movimento di amore, poiché l’amore ha una sua tensione propria che fa muovere. Chi ama non resta immobile, anche se non si muove localmente: vive la tensione del desiderio che lo urge al di fuori di sé per incontrare l’’amato.
La “vita eterna” non sta nell’essere bloccati indefinitivamente nel presente in una perenne immutabilità. Il paradiso non è statico, né limitato o ristretto, perché è “un evento” a cui i beati partecipano nell’amore. E l’amore sopporta tutto tranne che gli si pongano dei limiti. Esso vive di movimento: se lo si frena, intristisce e muore. Un amore che non restasse vivo e aperto a un di più non sarebbe affatto amore. Esso può respirare soltanto nell’infinita immersione nel rapporto con dell’amato e nel continuo superamento di se stesso.
Nella sua intima natura, intatti, l’amore è desiderio, cioè tensione che, facendo vibrare di gioia un essere, non si ferma, ma lo attraversa uscendo in donazione sempre permanente e nuova verso l’altro. Non si può pensare ad un amore che si accontenti di restare saturato, pensando di aver raggiunto il massimo della capacità di offerta di sé. Se questo pensiero affiorasse significherebbe che è già in corso il suo raffreddamento. Pertanto, l’intima vita d’amore in paradiso non è pensabile senza il ritmo crescente dell’evento dell’amore e della sua sempre nuova apertura e vivacità.
Il paradiso come recupero della propria storia di libertà
Un’ultima osservazione. Nel paradiso non ci sarà l’evanescenza della personalità di ogni creatura in una comunione indistinta di persone. Ad entrare nella gioia dell’Eterno è ogni singola personalità che si è costituita in alleanza con il proprio corpo e con la storia costruita dalla propria libertà. Alla fine, tutti i salvati potranno stare gli uni presso gli altri, recuperando ciascuno la propria storia, vedendone estaticamente la bellezza, con cui Dio per strade misteriose li ha condotti e introdotti alla sua vita di amore.