Non lasciarci soccombere nella tentazione

E non lasciarci soccombere nella tentazione

 

HPIM7361L’ultima domanda è la sola formulata negativamente. il verbo è nella forma del congiuntivo aoristo con significato di imperati­vo negativo: mè eisenénkes. La dizione abituale “non ci indurre in tentazione” sorprende e infastidisce, perché sembra che sia Dio a tentare al male. Fra i primi cristiani qualcuno lo pensava, e Giacomo nella sua lettera lo rimbecca vigorosamente: “Nes­suno, quando è tentato, dica: sono tentato da Dio; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male” (Gc 1,13).

“Non indurci in tentazione” non è la traduzione più felice e neppure esatta. Alla lettera la frase greca andrebbe tradotta con “Non portarci o condurci, dentro la tentazione”. Questo modo, per noi insolito, di esprimersi rinvia a un modo abituale di par­lare semitico, dove “entrare in tentazione” non significa “veni­re esposto alla tentazione” ma “soccombervi”. Se poi si suppo­ne che la domanda originaria insegnata da Gesù era espressa nella forma verbale causativa ebraica, allora si potrebbe tradurre in due modi: “non farci entrare in tentazione”, oppure “fa’ che non entriamo in tentazione”. Questa seconda formulazione cor­risponde – anche se espressa con un verbo diverso – all’avverti­mento di Gesù ai discepoli nel Getsemani: “Vigilate e pregate per non entrare in tentazione” (Mt 26,41). Il discepolo è qui invitato a pregare non perché gli sia risparmiata la prova, ma perché trovi la forza di superarla e non vi soccomba. Infine il termine greco peirasmòn ha due significati: tentazione e prova. È chiaro che la tentazione al male non può venire da Dio, ma la prova sì.

Il Padre nostro non è una preghiera teologicamente comoda. La tentazione morale non viene da Dio, ma la prova della fede sì. L’incontro con Dio comporta sempre una prova, perché la verità di Dio è spesso inattesa e sconcertante. Per di più quando Dio fa qualche richiesta, allora si scatena ancora di più il fascino del male. Dio non ci induce in tentazione, però ogni incontro con Lui può includerla. Possono diventare una “tentazione” il suo modo stesso di farsi presente nella vita e il suo modo di guidare la storia. Ci si imbatte nella prova quando ci si accorge che Egli è diverso da come lo si pensava. Provare sconcerto non è mancanza di fede. Al contrario, lo sarebbe “il sentirsi allegge­riti del mistero, senza angoscia né stupore” (O. Clément). Dopo il battesimo Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto “per essere tentato dal diavolo” (Mt 4,1). Dunque la tentazione viene dal diavolo ma in un certo senso vi è coinvolto anche lo Spirito. Certo non si dice che lo Spirito ha tentato Gesù, però si dice che lo ha condotto nel luogo della tentazione. Anche il nostro battesimo introduce in una esistenza segnata dalla pro­va. Si dice spesso che la prova affina lo spirito e purifica la fede. E’ vero. La prova è il giudizio sulla vita: porta a galla ciò che sta veramente a cuore, il proprio desiderio segreto. Svela il volto interiore nella sua nudità. E’ come il fuoco: brucia tutto ciò che non ha consistenza. Tuttavia, la prova è anche pericolosa. Nel Padre nostro si sottolinea tale caratteristica, e per questo si pre­ga. Se con la preghiera si sta sotto la protezione di Dio, la tenta­zione o la prova non può farci paura.

P. Antonello Erminio

con gioia tutti insieme per non dimenticare

…. insieme con gioia e gratitudine per non dimenticare che nel Padre nostro ci rivolgiamo alla Sorgente da cui veniamo e alla quale stiamo andando….

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