Sabato 30 marzo alle ore 15, Padre Antonello Erminio sarà tra noi per il quarto incontro con la Parola. Sullo sfondo dell’esperienza del Signore Risorto e facendo riferimento alla Parola di Dio (Gv 21, 1-14) egli ci aiuterà a riscoprire il piano di amore di Dio verso di noi.
A tutti l’invito a partecipare.
Audio della prima parte della meditazione
Seconda parte della meditazione
L’amore di Cristo e l’amore per Cristo
Il nostro amore verso il Cristo è anticipato dall’affezione con cui egli si protende verso di noi. Lui, il Figlio generato eternamente dal Padre e fatto uomo a favore nostro; Lui centro dell’universo, colui che costituisce il principio di ogni creatura; proprio Lui si china su di me (diciamolo al singolare, perché ciascuno possa patire il brivido di essere amato!) e mi abbraccia con un amore che scende dentro alla mia “finitudine” e alla drammatica condizione della mia “impossibilità”. A che scopo? Per attrarmi a sé e generare in me quell’immagine di giustizia che da solo non riesco a realizzare.
E’ la Rivelazione cristologica che ce lo annuncia e ci svela questo piano di Dio verso di noi:
“ … l’amore di Dio è stato riversato (perf. pass. cioè azione che dura, Dio continua riversare l’amore) nei (ἐν regnante ad indicare “dentro” che penetra l’interno, nell’intimità della nostra coscienza; e non verso (verso l’interno, che tende ad entrare, ma resta esterno) nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi … ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione (Rom 5, 5 ss).
La tenerezza affettuosa con la quale Dio si china su di noi riversandola senza sosta in noi attraverso quel fremito d’amore, che vibra nel mistero trinitario. Fremito che è lo Spirito Santo, il legame del Padre e del Figlio: questa tenerezza affettuosa è a fondamento di ogni nostra capacità e/o desiderio di amare il Signore. Si ama rispondendo a un amore che ci precede. E’ l’unico modo per realizzare un legame che da noi è impossibile stabilire.
Di fronte a questa Rivelazione la nostra fede è provocata a misurarsi. Forse anche per noi risuona il richiamo di Gesù ai discepoli: “Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?”Mc 8, 17-18) – “gente di poca fede” (Mt 6, 30; 8, 26; 16, 8; Lc 12, 28).
Non avete preso nulla? Riferimento alla Parola di Dio: Gv 21, 19-23
Gesù, dopo la Risurrezione, deve riportare alla vocazione iniziale i suoi discepoli per renderli capaci di essere suoi testimoni nella storia:
“…si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. 4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce (Gv 21, 2-13).
Il tentativo di Pietro, seguito dagli altri (“Veniamo anche noi con te”), di ritornare di riprendersi la vita secondo una logica pragmatica, ritornando al mestiere che avevano fatto prima di aver incontrato Gesù, è inconcludente (l’ironico “Non avete nulla da mangiare”, mostra la nullità dello sforzo umano: cioè vi manca ciò che vi faccia vivere,). L’incontro con il Risorto, che si presenta a loro sconosciuto perché incapaci di vederlo, rivela la difficoltà dei discepoli di accettare il fatto della risurrezione, cioè di una Presenza gloriosa di Gesù pur dentro alla sua assenza terrena. E’ questo il problema della storia cristiana: saper riconoscere la sua Presenza nello svolgersi delle circostanze del mondo. Con la risurrezione Gesù è il perennemente presente da riconoscere con gli occhi della fede. Ma gli occhi della fede si ridestano dal sonno quando scoprono un amore che si china sul bisogno. E’ infatti “il discepolo che Gesù amava”, cioè penetrato dall’affetto di Gesù, è lui che sa riconoscere il Signore. L’amore apre gli occhi. L’amore fa vedere. La pesca miracolosa è funzionale a far scattare nei discepoli un passaggio: dall’incapacità a riconoscere il Signore alla consapevolezza della sua presenza di risorto nella Chiesa. Il miracolo è in funzione della fede: ovvero al far sbocciare l’evidenza di verità che è il Risorto nella vita della comunità cristiana. E subito dopo ecco l’atto di Gesù di “dare da mangiare” e di “preparare il pasto”: sono gli atti della cura materna che, offrendo da mangiare (“prese il pane e lo diede loro”, mostra l’assioma basilare della vita: far vivere l’altro volendogli bene. Il mangiare infatti fa vivere. Ma il pane e il pesce sono già preparati e cotti al fuoco (“scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane”), cioè impastati con l’affetto di chi vuole bene. Questi è Gesù, il Risorto: colui che si mette a disposizione dei discepoli e li nutre, cioè li fa vivere. E con il “pane eucaristico”, adombrato nello schema della liturgia dell’ultima cena (“prese il pane e lo diede loro”), riporta i discepoli a saperlo riconoscere come il Crocifisso risorto che dona loro la vita.
Interroghiamoci:
- Qual è il livello della mia vita di fede? Patisco come i miei contemporanei un’accelerazione del tempo (“Non ho mai tempo!”) e una saturazione degli spazi (“Non ho più nessuno spazio per me!”) che neutralizzano ogni risonanza interiore?
- Come uscire da una eventuale situazione di stagnazione spirituale? Le circostanze della vita sono una provocazione alla mia testimonianza di fede oppure sono appiattito sulla routine da piccolo “burocrate del sacro”?
- Quali sono i momenti in cui esperimento la tenerezza di Gesù per me? Mi concedo ad una sostanziale mistica della sua Presenza oppure egli rientra nel conto degli insegnamenti che ho imparato e che dico agli altri?