L’acqua dello Spirito

Sabato 24 marzo, alle ore 15,  P. Antonello guiderà il quarto incontro del percorso formativo – spirituale. Tema: L’acqua dello Spirito e la luce di Cristo.   

Chi sei Tu, o Gesù, per me? Quanto conti nella mia vita? 

Questa è una domanda a cui non si finisce mai di rispon­dere. Per que­sto risuona con­tinuamente nel Vangelo: Gesù vuole sapere che cosa si muove nel fondo della no­stra anima a suo riguardo. Ogni giorno, anche senza vo­lerlo, noi esprimiamo, al fondo della nostra coscienza e nel no­stro agire, chi è Gesù e che cosa conta per noi.

Ascolta l’audio della sua meditatazione.

prima parte:

seconda parte:

14Quando ormai si era a metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. 15I Giudei ne erano meravigliati e dicevano: «Come mai co­stui conosce le Scritture, senza avere stu­diato?». 16Gesù ri­spose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di co­lui che mi ha man­dato. 17Chi vuol fare la sua volontà, riconoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io parlo da me stesso. 18Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che lo ha man­dato è veritiero, e in lui non c’è ingiustizia. … 25Intanto alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di ucci­dere? 26Ecco, egli parla liberamente, ep­pure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? 27Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia». 28Gesù allora, mentre in­se­gnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono ve­nuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. 29Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha man­dato». … 37Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva 38chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». 39Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i cre­denti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato. 40All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è dav­vero il profeta!». 41Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri in­vece di­ce­vano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? 42Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Da­vide, verrà il Cri­sto?». 43E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui. 44Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui.  8  12Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». 14…Voi non sapete da dove vengo o dove vado. … 28Disse allora Gesù: «Quando avrete in­nalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha inse­gnato. 29Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha la­sciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». (Gv 7,14-43; 8,12-…)

Dissetarsi nel rapporto affettivo con Cristo

In noi non c’è legame sufficiente con Cristo capace di sfidare il mondo, sol­tanto perché esso è intellettualistico e consuetudinario, quindi, estraneo alle sorgenti più profonde della vita. L’essere legati a Cristo non scaturisce dal nostro “pensare” a Lui o dalle nostre “emozioni” verso di Lui. Si tratta invece di bere alle sorgenti dello Spirito in noi: cioè si tratta di entrare nel desiderio dello Spirito di Gesù. Lo Spirito Santo è il desiderio che lega Gesù e il Padre: e in questo desiderio vuole che ci dissetiamo. Gesù desidera che possiamo entrare nel circolo di questo desiderio, poiché la vita umana raggiunge il suo vertice nella corrispondenza di due desideri: quello di Gesù verso di noi e il nostro verso di Lui. Ciò vuol dire che il rapporto con Gesù non è dato da ciò che noi possiamo pensare o provare sentimentalmente di Lui. Il nostro “esserne coinvolti” avviene in forza dell’energia con cui lo Spirito ci at­trae e ci “incolla” a Gesù. Quest’operazione avviene a una sola condi­zione: che noi “ci svuotiamo” di noi stessi, che “ci arrendiamo”, che non abbiamo a fare solo “metà spazio” in noi perché Lui abiti. La dinamica del desiderio è totalitaria. E simile totalità appare impossibile alle no­stre possibilità. Tendiamo a trattenere qualcosa e a non dare tutto. Ma il con­cedersi a metà mantiene nella palude dello spirito. Per questo è necessa­rio l’azione purificatrice e liberante dello Spirito.

Lo svuotamento di se stessi e l’amore

L’avere “sete” di Gesù significa sentire il bisogno di cui si è costituiti e l’impotenza a esaudire i propri bisogni con le proprie capacità. Patire la sete significa “patire il proprio bisogno”: e attraverso di esso accorgerci che non siamo noi stessi a risolvere il nostro problema. Bisogna accor­gersi di essere impotenti e poveri. Accondiscendere a questa consape­volezza si chiama asceticamente “umiltà”. Ma quest’atteggiamento di coscienza umile di sé sta agli antipodi della cultura odierna basata sul potere dell’uomo. L’umiltà di sé è un percorso ritenuto non degno dell’uomo, mentre invece si ritiene degno l’affermazione di sé. Eppure, accettare di dissetarsi – cioè di rispondere al bisogno dell’esistenza – alle sorgenti della vita, implica abbandonare le “cisterne screpolate” del no­stro Io, il quale, mentre costruisce qualcosa, si disperde nelle sue stesse opere.

Perché oggi ci si smarrisce in quello che si fa e si ha la sensazione che le costruzioni umane finiscono in discarica? Perché non c’è un filo tra­scen­dente che leghi insieme tutte le cose che si fanno. Questo filo tra­scendente è il “voler bene”. L’amore e la gratuità infatti sono l’unica stoffa che non si consuma. Se il vestito della nostra anima è fatto di questa stoffa ci sen­tiamo bene. Il “voler bene” è un “legame” che collega di senso le singole azioni che si compiono. Dà senso ed energia per operare. Bisogna conse­gnarsi all’amore di Dio, cioè al Dio che ci ama e riversa in noi il suo Spirito d’amore, lo Spirito del Figlio. Consegnarsi e accoglierlo. Anche umana­mente l’amore è un’attrazione che travolge e coinvolge, crea legami, fa sentire che l’altro “è necessario”. Tanto più questo è vero nel mondo del soprannaturale. E’ semplicistico pensare di essere capaci di amare. L’amore non nasce dal potere, né dal volere. Ci si trova coinvolti nell’amore per una gratuità che sorprende. Questo lato di passività nell’amore e nella grazia sono preparati dall’umiltà di cuore. L’umiltà di cuore ci rende aperti a ricevere la grazia dello Spi­rito. C’è una grande diversità fra una “vita in Cristo” e una vita che sem­plicemente “si ispira a Cristo”. Gesù Cristo non è un’ispirazione, né un valore da incollare sulle attività che facciamo; Gesù Cristo è il rapporto che tiene in vita: ma questo rapporto possiamo solo prepararlo dispo­nendoci ad accoglierlo nell’umiltà. La vita di fede si svolge in questo rapporto tra la grazia dello Spirito di amore che ci attrae e l’umile con­segna di noi stessi a quell’amore. Questa è la vita di fede che si river­bera come carità e benevolenza verso gli altri.

Come avviene la perdita della fede?

Il compito di un credente è mantenere viva la fede. La fede è una vita. E’ la vitalità di un rapporto che si genera continuamente nella co­scienza cre­dente. Ma nella vita di fede ci si può anche fermare. La fede si può per­dere. Quel che si perde per prima cosa è l’esperienza e l’incanto del rap­porto con il Signore, mentre i concetti religiosi e spiri­tuali continuano a es­sere ripetuti come in una litania e, in fondo, pos­sono essere tanto resi­stenti quanto i virus negli ospedali. Quando però la vita di fede si riduce a idee religiose e spirituali, staccate dall’espe­rienza, queste sopravvivono senza convinzione e solo per un certo tempo, perché non sono più porta­trici di una verità vissuta, di una bel­lezza e di un bene trovati. Hanno un’e­sistenza debole, come le ombre, e un bel giorno cambiano di significato o scompaiono. Scomparendo, lo fanno senza traumi, senza che nessuno provi dolore per loro. Quando questo succede ed è un’esperienza assai comune tra noi, nell’Europa “Occidentale”, vuol dire che avevano già per­duto il loro significato, che nessuno le comprendeva, tranne forse qualche specialista che conti­nuava a parlarne nel suo ambiente. Per gli uomini “normali” sono puri geroglifici, non più comprensibili di quanto lo siano per noi i geroglifici egizi. Sono come una lingua morta, la lingua di una cultura scomparsa.

Come si attiva la fede?

E’ vivo soltanto ciò per cui si dà la vita. Questo solo può darci il gusto di vi­vere la fede nel Signore. In uno dei Dialoghi con Leucò, Cesare Pavese fa dire a Mnemòsine, la dea della poesia, al poeta Esiodo: “Esiodo, tu sai che le cose immortali le avete a due passi”. E Esiodo risponde: “Non è difficile saperlo. Toccarle, è difficile”. A sua volta Mnemòsine spiega che per toc­carle: “bisogna vivere per loro, Esiodo. Questo vuol dire, il cuore puro. Non avete un istante, nemmeno il più futile, che non sgorghi dal segreto delle origini”. Insomma la vita di fede si rigenera nello Spirito. Senza lo Spirito di amore “non accade nulla nell’uomo”.

Padre Antonello Erminio

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