3° incontro – Sabato 18 gennaio 2014
La catechesi di oggi ha dentro di sé un certo numero di temi. Il papa scrive: “La Chiesa è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo”. E’ compito dei cristiani annunciare il Vangelo, la bella notizia che Dio è Padre e desidera che entriamo in comunione con Lui per costruire la sua famiglia. La sua è una chiamata nella libertà: Egli si ferma sulla soglia della nostra porta e aspetta di vederci con il desiderio di legarci a Lui. “Voi siete il sale della terra. A cosa servirebbe il sale se non dà sapore?” I cristiani, mescolati dentro alla vita di tutti gli uomini, hanno la consapevolezza di essere investiti di un Vangelo che prima di tutto deve toccare loro stessi e trasformarli in sale buono che dà sapore alla vita di coloro che incontrano. Come ci sentiamo dentro il mondo? Quale novità abbiamo da portare? Lasciamoci graffiare da queste domande, non tentiamo di eliminarle. Ereditiamo una concezione moralistica della vita e davanti a Dio ci illudiamo che le nostre opere buone servano ad accaparrarci la sua benevolenza. Dobbiamo smontare questa struttura mentale e capire che siamo profondamente amati da una misericordia che entra nella debolezza della nostra umanità. Di fronte a Dio dobbiamo recuperare la passività, cioè l’atteggiamento di chi riceve e percepisce che qualcuno è chinato su di lui e gli dà il respiro per essere capace di volere bene. L’amore di Dio ci anticipa sempre. Il Vangelo è accorgerci che siamo sotto la Sua luce di benevolenza. Il Signore ci ama perché siamo figli e non perché siamo coerenti, buoni e volenterosi. Siamo amati al di là dei nostri meriti e prima dei nostri meriti. Dio raggiunge ogni uomo indistintamente a cominciare dal più debole. I primi cristiani che erano dentro ad una mentalità oppressiva, dominata da un fato che li soggiogava, al sentire l’annuncio del Vangelo recuperavano una dimensione diversa della vita e si innamoravano del Signore.
“Compito del cristiano, continua il Papa, è far entrare il Vangelo nella realtà del mondo, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino”. Il mondo è destinato a qualcosa di molto più grande: non tutto finisce qui. “Alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana”. Purtroppo in questi tempi, la politica ci offre uno spettacolo indegno di questo nome. Ci vogliono cristiani autentici che si impegnino a realizzare la solidarietà, la giustizia, il diritto, la pace perché sono beni infiniti, enormi. Nell’epoca attuale, viene rivolta alla Chiesa una pesante critica: “Dal momento che tu predichi le cose soprannaturali, come fai a capire le cose di tutti i giorni?” La Chiesa, di fronte ai temi come l’aborto, l’eutanasia, non può rimanere indifferente come se fossero problemi che non la riguardano. Quando nel ’78, la società si è dichiarata a favore dell’aborto, essa non si è opposta in maniera egemonica; la sua preoccupazione è sempre stata quella di salvaguardare i valori che realizzano l’uomo facendo in modo che le cose soprannaturali illuminino le realtà del mondo. L’aborto, il divorzio, il convivere senza un impegno, l’abusare delle droghe non realizzano il vero bene del suo vero bene dell’uomo. “Per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là”. Il cristiano non è al di fuori della realtà terrena nella quale vive e, sapendo che il mondo non è l’orizzonte definitivo, si impegnerà ancora di più perché diventi più giusto, vero, buono e bello.
E qui il Papa richiama il tema del senso. Lo scopo della vita è di entrare in relazione di amore con quel Dio che ci vuole bene. Nell’epoca in cui viviamo quello che conta è l’efficienza e non il senso. Ci si preoccupa che le cose funzionino sempre di più, siano sempre più belle, più perfette. Ma alla fine dove conducono? Siamo entrati in una fase dove la tecnica è diventata il dio che soggioga tutti. Pensiamo alla rincorsa dei cellulari sempre più sofisticati. E’ una ricerca continua a qualcosa che sia sempre più efficiente. Ma a che cosa serve? Gli strumenti rimarranno sempre strumenti! Dobbiamo pensare che la vita non si svolge sulla linea dei mezzi, ma si sviluppa e cresce dove c’è un senso. Solo In questo punto la vita si illumina e si rinnova, non è più banale o noiosa. Viviamo con la mentalità dell’utilitarismo. Una cosa è vera se funziona, vale se ottiene dei risultati. E allora che differenza c’è se un bambino nasce dall’amore di uomo e una donna, oppure da una inseminazione artificiale, asettica, neutra? Purché funzioni! Ma, per un bambino, quanta più serenità sapere di essere nato dall’atto di amore del padre e della madre consegnato a Dio che in quell’atto d’amore ha detto: “Ecco, voglio che questo bambino sia mia creatura e sia eterno”. Il sentirsi all’interno di una immagine così lo segnerà per sempre! Sapere invece che la propria origine è semplicemente il frutto di un’operazione tecnica voluta da un atto di potere dei genitori che lo hanno cercato come si vuole un giocattolo, non è la stessa cosa!
I figli sono dono di Dio e non si può ricorrere a qualunque mezzo per averli. Così pure non è umano sopprimere una persona in nome della serenità di fronte al dolore di una vita finale! La cultura della tecnica non può essere abusata nell’umano solo perché è efficace. Nel caso di una coppia sterile si cercano i mezzi giusti e veri per curare la sterilità e se il sogno non si realizza, perché non adottare un bambino e rendere la sua vita più felice? I genitori non sono i padroni della vita dei figli, sono gli strumenti della loro esistenza, danno la loro biologia, dono che a loro volta hanno ricevuto. E noi ringraziamo che sia così perché, se così non fosse, invece di esser liberi, saremmo schiavi di nostro padre e di nostra madre. L’amore di un uomo e di una donna è un mistero infinito e quando il loro rapporto è un legame reciproco di tenerezza allora, dentro a quel rapporto, le cose diventano secondarie. La tenerezza di un rapporto è infinitamente più grande di tutto il resto perché è carica di valore e di ricchezza umana. E’ il mondo dei significati che dà valore e suscita impegno nella vita. Il Papa ci ricorda che noi siamo chiamati a “tenere desto il senso della speranza”, perchè anche se troviamo le cose svuotate di valore, di orizzonte tuttavia possiamo riempirle di significato essendo “tutto” segnato con l’impronta digitale di Gesù. Non c’è nulla che non porti dentro di sé la presenza di Cristo. In Lui sono state fatte tutte le cose e tutto sussiste in Lui. Dire Gesù vuol dire quel figlio amato che per amore del Padre si è fatto uomo per condividere la nostra umanità. Quindi dentro ad ogni gesto, anche minimo della vita, passa l’amore che il Figlio ha dimostrato al Padre. Dentro alla mia umanità brilla il volto del Signore: noi siamo portatori della sua presenza e testimoni del suo amore.
Un cristiano è testimone quando vibra per l’intima relazione con Dio. Allora diventa capace di rinunciare a tante cose per poter aiutare qualcuno che si trova in difficoltà. Nel ridimensionamento della sua vita e nella disponibilità verso gli altri, trova la sua gioia. Il cristiano è un innamorato di Cristo, perché sorpreso dal suo amore. E’ la via della santità che noi purtroppo abbiamo sempre immaginato in chiave moralistica. Anche il gesto più banale, fatto nell’amore, ci rende grandi, santi, vibranti. Il Vangelo è “l’altro” mondo dentro a questo mondo! “La Scrittura parla di cieli nuovi e terra nuova e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà tutto in tutti”. E ciò corrisponde al bisogno della natura umana. Il male che faccio a qualcuno non corrisponde alla verità di quell’uomo. L’uomo trova la corrispondenza a quello che lui è nell’amore che Dio esprime per lui. Noi siamo chiamati a scoprire che l’amore è capace di riempire la mente, il cuore, l’anima; è il percorso che siamo chiamati a fare poco alla volta nella vita. Se non si fa esperienza che la bellezza della vita sta nell’amore che si riceve e si dona, siamo dei falliti.
“Mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità assoluta, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi coglie la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc.“Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro”. La verità è accorgerci di essere amati.
Ma attenzione a non lasciarci deformare dai condizionamenti della storia e della cultura. Guardare la propria storia, riconoscerne i condizionamenti e domandarci: ma queste cose sono vere? Amare la verità più di noi stessi anche quando è faticoso e ferisce. La verità è innanzitutto un atteggiamento interiore con il quale uno accetta di chiedersi come stanno veramente le cose. Siccome viviamo in un mondo artificioso pensiamo che automaticamente tutte le cose siano buone, ma non è così. La realtà ha una sua naturalità, quindi bisogna rispettarla, non stravolgerla ma adeguarsi ad essa perché è il luogo in cui Dio maggiormente si manifesta. Non dimentichiamo che molti disastri naturali sono la conseguenza del mancato rispetto delle leggi della natura. La verità è la capacità di riconoscere e stabilire una relazione con la realtà, è saper accogliere ogni persona anche se la pensa diversamente. La verità va sempre detta e fatta nella carità. La carità deve essere piena di verità altrimenti sarebbe sentimentalismo, emotività. Si apprende la verità poco alla volta e tutte le opinioni che ci facciamo devono misurarsi con essa. Ricordiamo che l’opinione, la convinzione e la verità non sono la stessa cosa. La verità è qualcosa di più grande di noi, l’opinione è la prima idea che ci facciamo della verità e ha bisogno di essere sottoposta a critica: ma è proprio vero? Di solito uno si crea un’opinione da chi grida più forte, da chi fa apparire più retoricamente le cose come vere, da chi le sa vendere bene. E noi diciamo: – Mi sembra vero! Le opinioni ci possono ingannare! Noi siamo facilmente ideologizzati. Crediamo di essere immunizzati, ma la mente è mimetica, tende ad imitare e noi facciamo nostre le opinioni maggioritarie. L’eutanasia per esempio, che molti presentano sotto forma di pietismo, in realtà è comandata da un’altra logica. Se in Italia si potesse praticare l’eutanasia agli ottantenni avremmo un risparmio di tantissimi miliardi. Il vero problema, in un materialismo così diffuso, è questo e non la pietà per la sofferenza. Oggi, con tutte le cure palliative, si può vivere una morte dignitosa senza praticare l’eutanasia. Tutte le opinioni vanno sempre messe sotto critica, dopo di che si può arrivare alla convinzione. La Verità non è un’opinione, è qualcosa di più grande di fronte alla quale noi siamo chiamati a orientarci. “Essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: «Io sono la via, la verità, la vita»? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa”.
Un cristiano realizza la sua umanità se agisce in Gesù e come Lui. Gesù come agiva? Era dipendente dal Padre: “Quello che vuoi tu, lo voglio anch’io!” Era figlio e viveva da figlio! Tutti noi siamo chiamati a vivere da figli dentro al legame creaturale con il Padre che è la spina dorsale della nostra umanità. Un uomo è pienamente se stesso quando riconosce di essere dipendente da Dio che non è costrittivo, non è violenza, non sopprime la libertà, ma il dipendere da Lui ci restituisce a noi stessi dentro a un legame. La dipendenza è la garanzia del suo amore. Quanto più uno è libero nell’amore tanto più è contento di dipendere. Infatti, quando due persone si vogliono bene sentono il dolore della lontananza e hanno paura di perdere quel legame. Gesù, inoltre, si prendeva cura degli altri e tutti desideravano toccarlo perché entrando in relazione con lui percepivano i benefici della sua presenza. Ricordiamo il grande detto di Gesù: “L’uomo è fatto per il sabato e non il sabato per l’uomo”. Ma che cos’è il sabato? E’ il tempo riservato a Dio! E Gesù ci insegna che anche nel tempo strettamente riservato a lui non dobbiamo dimenticare chi è nel bisogno.
P. Antonello Erminio