Incontro del Vescovo con le famiglie

L’alleanza educativa “oggi” con lo sguardo alla Famiglia di Nazareth

Il 25 marzo segna la nascita del cristianesimo perché è il momento in cui Dio dice sì al progetto: il Figlio che si fa uomo e viene a condividere tutto di noi e una ragazza di Galilea di quindici anni che dice il suo sì a Dio, il suo “eccomi”, sono a tua disposizione. Il Cristianesimo nasce da questi due Sì: quello di Dio Padre che coinvolge nel proprio sì, il proprio Figlio, il Sì dello Spirito Santo che scende e avvolge nel suo abbraccio questa ragazza di Galilea, e il Sì di questa ragazza. Da quel momento la storia del mondo si divide in a. C. e d. C. Credenti e non credenti, cristiani non cristiani si trovano a 2014 anni dalla nascita di Cristo, dall’inizio di quella forza vitale che è il cristianesimo. La piccola casa di Nazareth, vista nelle immagini che i bambini ci hanno presentato, è quella auten­tica dove, nel medio Evo, è stato scritto sulle pareti: “Hic, Verbum caro factum est”. Qui il Verbo si è fatto carne. Abbiamo anche visto comparire una scritta molto distorta, quasi di qualcuno che abbia graffiato il muro, è quella dei pellegrini dei primissimi secoli, forse già del 2° secolo d.C. “Chaire, Maria”, Ave Maria! In occasione di questa festa grande e bella, siamo invitati, a riflettere questa sera sul tema: “L’alleanza educativa, oggi, con lo sguardo alla famiglia di Nazareth”. Questa alleanza tra educatori della scuola e genitori, meglio ancora tra famiglia e scuola perché il primo luogo educativo è la famiglia, è qualcosa di indispensabile. Non è solo una buona cosa: se c’è va bene. No, no! E’ indispensabile perché Pierino, chiamiamolo così per indicare tutti i Pierini/e che sono qui a scuo­la come vostri figli non è nato cresciuto, imparato (come si dice a Napoli) ma deve imparare come alunno e nella famiglia come figlio.

L’alleanza scuola- famiglia è indispensabile perché Pierino è uno! Gli educatori sono queste due componenti, famiglia e scuola, ma lui è uno. O c’è questa alleanza o difficilmente Pierino capisce qualcosa della vita. Vorrei sottolineare la nostra responsabilità: Pierino è entrato nella vita perché è stato fatto entrare, non l’ha chiesto lui, e voi genitori e noi educatori, pensiamoci! Che cos’è questa alleanza? Non si tratta solamente di dare e ricevere: voi date la vostra parte e la scuola dà la sua. Non si tratta soltanto di retta da dare o retta da prendere. Tra l’altro nelle scuole di Stato la retta non si dà, perché è già stata pagata con le tasse. L’ingiustizia sta nel fatto che i ge­nitori delle scuole non statali hanno già pagato la retta allo Stato con le tasse perché, se il loro fi­glio lo iscrivessero in una scuola di stato, la Scuola di Stato non chiederebbe più la retta. Capite bene, qui sotto c’è un discorso che non voglio fare.Dicevo, questa alleanza non consiste soltanto nel dare o ricevere, ma nell’unità di intenti, nel cer­care di realizzare il bene di Pierino. Ora, voi con la  vostra genitorialità, paternità, maternità che cos’altro volete se non il bene di Pierino? Ovvio, il bene di Pierino! Così la scuola s’impegna al bene di Pierino, però mettiamoci d’accordo perché, se il bene che pen­si tu è diverso dal bene che penso io, poveretto Pierino che non capisce più se è giorno o se è not­te! Questa alleanza sta nell’ unità di intenti, non solo sotto l’aspetto dell’istruzione (che comunque è compito fondamentale della scuola), non dimentichiamolo mai! Ricordate il vecchio adagio: “leg­gere, scrivere e far di conto”, con tutto ciò che significa e comporta.E non soltanto l’aspetto dell’istruzione va curato bene da parte della scuola e va richiesto dai genito­ri, ma anche l’altro aspetto che si intreccia profondamente con quello  dell’istruzione e cioè quello della formazione alla vita in senso ampio perché, se Pierino impara a leggere correttamente e cor­rentemente, ma poi non capisce il senso delle cose scritte e che riguardano il senso della vita, leg­gerà sì pur bene, correttamente, ma …. E qui s’intrecciano i due elementi: istruzione e formazione alla vita. Qualcuno ricorrerà ad un anti­co filosofo pagano, Seneca, che diceva: “Non impariamo per la scuola, ma impariamo per la vita”. Sì, non dimentichiamo che la scuola è già vita essa stessa per Pierino, oltre che per gl’insegnanti di Pierino. Ma adesso pensiamo a Pierino, visto che noi siamo a servizio suo.

La scuola è già vita: non è che Pierino impara per la vita stando a scuola. E’ vivendo la scuola che già vive la sua vita. Provate a pensare all’importanza dei rapporti. L’essere è relazione, la vita è relazione, l’io che si apre al noi, ti piaccia o non ti piaccia non esisti tu solo. Gli altri, o gli incontri in un rapporto co­struttivo, oppure diventi nemico. Allora la vita diventa una guerra, una battaglia, … avviene, sì, av­viene. Non siamo ancora nella pace paradisiaca. Possiamo però cercare di evitare che lo sia. Pierino, dove impara il rapporto con gli altri? In famiglia: papà, mamma, fratelli, sorelle se ne ha, parenti più prossimi, quelli che ruotano attorno a lui. Nella scuola: compagni/e, maestre, le perso­ne che vi lavorano. Non è soltanto questione di scambiare quattro parole, è che la vita degli altri interferisce con la tua, e tu che fai? Come ti poni di fronte agli altri? Pensate al rapporto che noi viviamo senza accorgerci: quando è bello ci gratifica, mentre quando è difficile ci scuote, ma normalmente lo viviamo senza accorgerci tanto è naturale. Ma cosa c’è dietro a tutto questo? Il rispetto dell’altro o l’egoismo con cui cerchi di impossessarti dell’altro? La lealtà o la menzogna? L’apertura a capire l’altro o a battere i pugni perché hai ragione sempre e solo tu.Pensate a quanti elementi entrano nella formazione! Ma Pi erino non li ha dentro naturalmente, come non li ha avuti nessuno di noi! Ogni individuo è frutto dell’educazione che ha ricevuto. Ecco perchè è fondamentale che la famiglia e la scuola formino Pierino alla vita. E questa vita se la do­vrà vivere lui. E non sarà una passeggiata, come non è una passeggiata per noi. Pensate a tutto il tema dell’impegno! Non siamo qui per perdere tempo, talenti e doti che abbia­mo; siamo qui per realizzarci, perché questo è il progetto di Dio per chi ci crede. Siamo sulla terra non per diventare qualcuno, ma noi stessi. Pensate al valore del sacrificio, perché non si fa nulla senza sacrificio, non cresce nulla se prima non hai vangato il terreno e seminato il seme e curato la crescita della pianta. Pensate al tema del lavoro e quindi dell’impegno, della volontà, dell’attività, del non lasciarsi prendere dalla pigrizia. Pensate al tema della crescita: purtroppo non si parte dall’alto, ma dal basso e si sale. E sappiamo quanto costa fatica. Pensate al tema dell’esercizio che non viene spontaneo, non fosse altro che per una partita di cal­cio. Ci vogliono gli allenamenti! I veri atleti fanno sacrifici che noi non ci sogniamo! Pensate all’esercizio dell’educazione della volontà: non bastano i buoni sentimenti, devo fare questo perché è giusto, perché sono convinto che è giusto. E se non c’è volontà la mia convinzione si ferma al livello di convinzione. Pensate a tutto il mondo dei valori! L’educazione alla magnanimità, ad avere l’animo grande, cioè, aperto: non provinciali, non chiusi dentro il proprio guscio perché la storia ti travolge come ha tra­volto alcune economie. E allora, magnanimità, apertura, generosità che non vuol dire essere un po’ più buoni di altri, ma di animo nobile che poi si traduce nel donare a chi ha bisogno e nel pro­gettare in grande. Se Pierino non diventa questo, che cosa sarà? Un povero Pierino qualunque! E noi non lo voglia­mo, tanto meno voi! Ma capite che tutto questo è un’impresa grandiosa per voi genitori, per la scuola e per la Chiesa. O c’è alleanza e cioè, voi e noi, concepiamo i rapporti univocamente, fondati sugli stessi valori, oppu­re Pierino impazzisce perché, se mamma e papà gli dicono una cosa e poi la maestra o il parroco gliene dice un’altra, il povero Pierino, che deve fare? Pensate al valore dell’impegno, del sacrificio. “Pierino, adesso studi! E se non hai studiato, non esci! Ma no perché mamma e papà sono cattivi o è cattiva la maestra che ti dà l’insufficienza. La colpa è tua che non hai fatto quello che dovevi fare: nella vita si fa quello che si deve fare!” E se qualcuno facendo quello che gli pare e piace talvolta la fa franca, non è comunque questo il modo per essere felici, perché la felicità non è quella che si legge nelle performance delle persone che ridono e scherzano. Ricordo Metastasio, il poeta italiano del fine ‘600: “Se ognun l’interno af­fanno, in fronte legger si potesse, molti di quelli che invidia fanno, ti farebbero pietà”. Anche persone riuscitissime ti farebbero pietà e noi non vogliamo che Pierino faccia pietà a nessu­no. Quindi, sapergli dire dei no nella scuola, nella casa, perché Pierino deve crescere bene. Pensate ai filosofi antichi che hanno presentato come virtù cardinali certi atteggiamenti fonda­mentali dell’essere umano: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Noi non possiamo esimerci dal compito di educare Pierino a queste cose, altrimenti manchiamo gravemente. E non possiamo neppure iniettargliele per ipodermoclisi: è chiaro che deve esercitarsi, entrare dentro un modo di vivere che faccia crescere in lui tutto questo che è il programma basilare dell’essere umano. Allora capite che quando si parla di alleanza tra la scuola e la famiglia quante cose si intendono dire! Ci vuole la complicità, perché l’alleanza è un patto che si fa per il bene di Pierino. Questa alleanza chi allea? Gli educatori di Pierino a casa e gli educatori di Pierino a scuola, ma ad un patto: che non siano come Pierino, altrimenti, se i maestri da una parte e i genitori dall’altra hanno raggiunto solo il suo livello o poco più, poveretto Pierino! Sapete che per insegnare nella scuola elementare non basta aver fatto le elementari; per insegnare a Pierino come si vive non basta aver vissuto quello che sta vivendo Pierino, bisogna essere saliti molto più in alto. Insegnare vuol dire fare segno, indicare una meta. Allora bisogna che gli educatori e i genitori sia­no persone adulte, mature che non è solo questione di carta d’identità. La maturità non è deter­minata da quello che io penso e valuto, ma dal senso di responsabilità che metto in quello che fac­cio. La responsabilità è la capacità di rispondere al compito che ci siamo assunti nei confronti di Pieri­no; per i genitori mettendolo al mondo; per la scuola e i maestri impegnandosi ad aiutarlo a cre­scere. Allora viene da dire: o i genitori e i maestri sono adulti maturi e costantemente protesi a diventare sempre più tali, oppure mancano gravemente alla loro responsabilità nei confronti di Pierino. Mi ha colpito moltissimo una frase di Papa Francesco a proposito degli adolescenti: “Il dramma dell’adolescenza nella nostra epoca è che l’adolescenza vive in un mondo che non è ancora uscito dall’adolescenza”. Noi educatori, quante volte siamo degli adolescenti, magari con i capelli un po’ imbiancati e qual­che ruga in faccia e cioè non ancora usciti dall’adolescenza? Uscire dall’adolescenza non vuol dire soltanto maturità fisica, ma quella maturità che comporta una decisa propensione a tutto il cammino di formazione di cui abbiamo parlato: rapporti, impe­gno, sacrificio, lavoro, crescita, esercizio, volontà, valori, principi, magnanimità, generosità, pru­denza, giustizia, fortezza, temperanza. E’ persona matura quella che è entrata dentro a tutto que­sto. La maturità non è mai piena: sarà piena in Paradiso. E chi sta sotto la soglia? Quando vedi genitori, gareggiare con i figli a fare i “giovani come loro” dimenticando di essere padri e madri con il dovere di farli crescere, educarli!  Di fronte a questi e altri comportamenti adolescenziali negli adulti ci si chiede: “Come si pongono, questi adulti, di fronte al compito educativo?”

Oggi, da tante parti si parla di emergenza educativa e si fanno convegni: i politici, i sociologi, i pe­dagogisti, la Chiesa. Ma io mi chiedo: è un problema di Pierino, cioè dei giovani? Sono loro che hanno creato l’emergenza educativa o invece è chi non li ha educati o li ha educati male? I giovani sono frutto di una impostazione di società e non sono certo loro ad averla prodotta. Loro si sono trovati dentro. E sappiamo bene che la cosa più facile è salire sul carro che ti passa davanti. L’emergenza educativa è un problema nostro e non dei ragazzi. Inevitabile è chiederci e poi darci delle risposte: “Che cosa trasmetti? A che cosa educhi? Qual è il progetto che presenti? Quali i metodi per realizzarlo? E tu come ti impegni a educarti ai valori? C’è una grande domanda che preoccupa la società di oggi: “Che mondo lasceremo ai nostri figli?” A chi propone questa domanda provate a rispondere: “Che figli lasceremo a questo mondo? Che figli lasciamo a questo mondo? Saranno capaci di affrontare le difficoltà di questo società?” O sei temprato ad affrontare la vita con decisione, con prudenza, fortezza, giustizia e temperanza oppu­re soccombi. La società di oggi è triste e il carnevale di un giorno o tre giorni non riesce a mascherare comple­tamente quello che c’è sotto. Non è vero che stiamo peggio di un secolo fa dal punto di vista economico. E’ la mentalità di oggi che non aiuta l’influenza del vivere sociale, ma ciò non mi esime dal chiedermi: “Ed io che sono il genitore, il maestro, l’educatore di Pierino che cosa faccio? Mi sento forse esentato dal fare la mia parte perché la società va in un altro senso? Quello che possiamo e dobbiamo fare nell’educazione è responsabilità nostra. E allora la domanda: “Chi sono io? Che cosa vivo?” Perché, se la immaturità di Pierino è naturale, la immaturità mia non è naturale, è colpevole quando c’è. E i casi sono due: o Pierino crescerà se­condo progetti sballati e allora purtroppo non riuscirà neanche ad accorgersi che io, suo maestro, ero sballato, oppure Pierino per grazia di Dio o per l’incontro con qualche persona significativa crescerà bene. Ma attenzione: nulla si costruisce senza un saldo fondamento! A questo punto ci sarebbe da riflettere sulla famiglia di Nazareth, su quella ragazza che ha detto di sì ad un progetto così grande da far tremare non soltanto perché quel figlio era il figlio di Dio, ma perché è una donna quindicenne con una fortezza d’animo capace di affrontare il problema enor­me di andare a dire a Giuseppe: “Io sto aspettando il Figlio di Dio”. Adesso, dopo duemila anni di cristianesimo è tutto normale, tutto facile. Ma vai a dire al tuo pro­messo sposo che è venuto l’Angelo! E Giuseppe non era il trisnonno di Maria, come lo vediamo rappresentato in alcune immagini! Giuseppe era un ragazzo di diciotto o vent’anni come allora si sposavano i ragazzi di Israele! La fortezza di Maria che affronta tutto questo sta nel prendere Dio a fondamento di tutta la vita. Maria e Giuseppe formano la famiglia di Nazareth che avrà le più svariate e dolorose vicissitudini: problemi di lavoro, di migrazione, di gente che non ti vuol bene, ma questa famiglia reggeva per­ché Dio era il suo fondamento. 

Vescovo Edoardo Cerrato

 

 

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