I vostri nomi sono scritti nel cielo

Domenica 12 novembre 2023, in Casa Madre si è tenuto il 1° incontro con la PAROLA guidato da P. Antonello Erminio. Qui di seguito l’audio della riflessione e il testo scritto consegnato ai partecipanti.

 

 

audio della prima parte

audio della seconda parte

“I vostri nomi sono scritti nel cielo” (Lc 10,20)

1.     Tutta la vita chiede l’eternità

Noi oscilliamo sull’altalena del tempo, senza poterla frenare; e sappiamo con certezza una sola cosa, che anche la nostra altalena della vita un giorno si slancerà inesorabilmente in un ultimo slancio senza ritorno. Ai nostri occhi la vita si presenta nel tempo che corrode la nostra esistenza in uno sviluppo che va verso il decadimento e la morte. Ma la realtà dell’uomo non è riducibile, né rinchiudibile, nel suo ciclo biologico: in lui resiste “qualcosa” (nel linguaggio di ogni tempo lo chiamiamo “anima”) che tende ad una continuità.

2.     Il mistero del futuro è racchiuso nella nascita

Venendo al mondo, nessuno si è voluto, ma si è trovato ad esistere. Miracolosamente. Nemmeno nostro padre e nostra madre, pur essendo il grembo entro il quale abbiamo iniziato ad esistere, nel generarci potevano immaginare tutto quello che già era presente in quel minuscolo esserino di cui noi stessi non abbiamo memoria, e che tuttavia è inciso nel nostro corpo e nella nostra personalità interiore. All’origine di noi stessi, dunque, c’è Uno che ci ha voluto e misteriosamente un giorno ha detto: “Voglio che … sia!”. Ora si vuole solo ciò che si ama. Il nostro essere venuti al mondo è il segno di essere amati, qualunque forma abbia quello che siamo. Ma ciò che si ama, non lo si può volere che per sempre. Lo esperimenta un padre e una madre nei confronti dei figli: non si riesce più a cancellarli dalla memoria della propria carne, qualunque strada intraprendano. Ma come è possibile, da momento che siamo dominati dalla finitudine? Sentiamo in noi e attorno a noi il limite, poiché tutto “finisce”: non possiamo negarlo. Non siamo infiniti, siamo e viviamo dentro al limite. Eppure … “Non abbiamo un istante, nemmeno il più futile, che non sgorghi dal segreto delle origini” (Pavese, Dialoghi con Leucò)

3.     Vita desiderante e affetti : segnali dell’eterno in noi

 Dentro di noi scopriamo dunque anche un’altra evidenza: che l’uomo è un “essere di desiderio”, e quindi è sempre proteso al nuovo e ad un futuro che sia un bene, e poiché non è lui che può darsi questo bene, lo spera e lo desidera. Il desiderio è una forza insopprimibile che attraversa la sua anima e lo porta a trascendersi, lo porta a protendersi, oltre a quello che già è o fa.

C’è inoltre nell’uomo un “qualcosa” che non si corrode e trascende il deperimento ed è il mondo dell’amore e degli affetti autentici, quelli secondo giustizia (ovvero gratuiti), i quali portano in sé il marchio dell’eternità, del loro vivere cioè oltre il tempo. Non è possibile che essi abbiano la stessa fine (cioè, il fallimento e il decadimento nel nulla) dei gesti ignobili e viziosi dell’uomo immorale.

4.     Ma su che cosa è fondata questa speranza ? Chi la assicura ?

Questa energia di trascendenza che è il desiderio di sopravvivenza alla morte dell’amore e degli affetti autentici è un’evidenza connaturata nella ragione umana. Tuttavia, è dalla Rivelazione che ce ne ha fatto Gesù, che troviamo il fondamento alla nostra speranza di una “vita eterna”.  “Vita eterna” è una vita che partecipa del modo di esistere in Dio.

Gesù è il Figlio che ha voluto inabissarsi e condividere il nostro mondo finito e mortale per portarvi il principio della sua Vitalità divina, la Potenza dell’amore che è creativo. Per questo ha potuto con tutta certezza dire parole che nessuno, con cognizione di causa, potrebbe dire:

“Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita (ζωὴ) eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5, 24). “Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 40). “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10)-

5.     Che significa vita eterna

Il termine “vita eterna” (che solitamente viene interpretata come vita perdurante indefinitamente, per sempre) non è primariamente un concetto temporale, ma un concetto qualitativo: indica la pienezza dell’esistere con il carattere illimitato di una felicità che brilla già nelle esperienze buone della vita presente. La vita eterna non prende il posto della vita terrena, ma comincia già in essa e ne è il compimento. E’ una partecipazione alla vita di amore propria di Dio. Quanto poi al tempo: l’uomo è sì finito e circondato dal limite, ma non potendo Dio crearlo infinito, ha messo in atto un geniale escamotage: ciò che è finito può non cessare mai di nascere (questa è l’eternità). Questa possibilità del rinascere continuamente da se stessi è racchiusa nel mistero della libertà: essa è il cuore della persona umana e permette di dare origine a sempre nuove figurazioni di se stessa. L’esistenza umana va di nascita in nascita.  E così il paradiso non sarà una noia del “per sempre” atemporale e immutabile, ma sarà lo spazio dove si vivrà dell’amore che sempre si rinnova nel rapporto con l’imprevedibile Bellezza e Bontà di Dio e dei fratelli.

L’al di là e il nostro futuro, intorno a cui ci interroghiamo, è l’Eterno già installato nel cuore umano. L’Eterno è il vero Presente, senza il quale il presente non è che polvere inafferrabile. Quando si diserta questo Eterno l’uomo resta solo con la propria finitudine e l’angoscia della morte che essa genera.

“Chi sono io? …Me lo sto chiedendo da 92 anni e mi piacerebbe saperlo (…)  Quello che siamo non lo sappiamo. Il curato d’Ars ha chiesto un giorno al Signore di fargli vedere com’era. Ma quando il Signore glielo ha fatto vedere, per poco, non diventava pazzo. Perciò quello che siamo nella sua totalità non lo sapremo mai se non in Paradiso. Però stamane pensavo: il bambino nel ventre della madre sta al caldo e probabilmente è felice. Crede che quel breve spazio tiepido sia un universo, ove nulla gli manchi. Dell’universo che conosciamo noi, che sospetto può avere lui? Nessuno. Ammettendo che ci si possa mettere in comunicazione col bambino che ancora non è nato, che nozioni potremmo dargli di quello che è un libro, una casa? Nemmeno la più piccola nozione. A ben guardare ci troviamo nella stessa situazione in rapporto al mondo dell’al di là che si estende intorno a noi e che non raggiungiamo, generalmente, se non con la morte. In realtà stiamo anche noi dentro una cavità buia ove ci parliamo, e noi non nasceremo che gridando, quando morremo. Allora scopriremo un universo d’una bellezza indicibile, e passeggeremo liberamente in mezzo agli astri” (J. Green, Diario 1935-1939, Mondadori, 1949, 19.

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