Sabato 3 febbraio 2018, P. Antonello Erminio ha guidato la terza tappa del percorso formativo – spirituale.
Tema dell’incontro: Sotto i portici della piscina un incontro imprevisto (Gv 5,1-23).
Ascolta l’audio della sua meditazione:
- Punto di partenza di ogni movimento dello spirito è la coscienza della propria inadeguatezza.
Gesù si trova tra una moltitudine di infermi. E fra questi, emblema di tutti, vi è un uomo paralitico, impotente di fronte al proprio male: uomo senza forze, incapace di movimento, vittima della sua infermità. Egli da 38 anni sta lì: sono gli anni del popolo d’Israele che ha girovagato nel deserto dopo essere già arrivato al confine della terra della promessa. L’acqua poi nel suo agitarsi suscita l’illusione di poter guarire. Di fatto come l’acqua del pozzo di Giacobbe (l’acqua della samaritana) non può estinguere la sete profonda dell’uomo, neanche quest’acqua della piscina di Betzatà può guarire. La percezione dell’impotenza è connessa con ogni serio impegno con la propria umanità. L’uomo è solo con il suo problema esistenziale. Siamo soli con i nostri bisogni, col nostro bisogno di essere e di vivere intensamente. E di fronte a questa situazione l’unica cosa che si può fare è attendere qualcuno che venga a risolvere il nostro problema umano, la nostra paralisi. E a risolvere non sarà certamente l’uomo, perché da risolvere sono proprio i bisogni dell’uomo. Di fatto, alla situazione senza uscita solo Gesù può rimediare. La salute arriva da uno che il malato non attendeva. Senza chiasso. Il vero peccato dell’uomo di sempre è quello di non attendersi più nulla dalla vita: è la condizione di scetticismo e di non credere che la propria disgrazia possa avere un esito positivo. E’ questo ciò che paralizza. E’ malattia mortale. E’ l’anti-speranza. E’ il male dell’epoca: l’illusione di potersi auto-realizzare mediante il proprio impegno e la propria volontà.
- L’autocommiserazione di fronte alla propria impotenza
La prima reazione dell’infermo suona come autocommiserazione: “Non ho nessuno che mi immerga nella piscina”: colpevoli sono gli altri che lo ignorano e non lo aiutano. C’è un po’ il meccanismo dell’auto-commiserazione della nostra incapacità. Colpevoli sono gli altri che non aiutano. Il paralitico si rinchiude nel non poter fare nulla, perché gli altri sono più svelti di lui. Ma Gesù conduce il paralitico a confrontarsi con la propria umanità e con la propria libertà (“Vuoi?”), togliendogli l’illusione che siano gli altri colpevoli della sua situazione. Lo costringe a fare un gesto che lui non s’aspettava, un gesto che sembra contrario a tutto quello che è ragionevole: “Alzati!”: puoi stare in piedi da solo, se lo vuoi. Sulla mia parola, compi il gesto di alzarti, non stare lì a commiserarti. E’ lui che deve alzarsi; non è Gesù, né nessun altro che lo rialza. Semplicemente Gesù gli trasmette la fiducia che può stare in piedi da solo. E’ la guarigione tipica dell’anima e della sua capacità di volere.
- Il primo affiorare del tema della nascita
Ma già qui incomincia a fiorire il tema di fondo del racconto: può il paralitico alzarsi? No, non può. Lo proibisce la ragione. A meno che non si fidi di quella parola che gli ha rivolto Gesù; cioè legandosi a quell’uomo che ha il potere di scioglierlo dalla sua paralisi. La sua libertà deve entrare in relazione di fiducia con il Cristo che gli comanda di compiere un gesto che può stare in piedi soltanto sulla certezza che Colui che ne dà il comando può operare quello che il comando contiene.
- Il potere sulla creazione, proprio di Dio, messo a disposizione di Gesù
Come può Gesù dare un comando simile? Lo può perché è padrone del sabato. Ora il sabato è di Dio: è il tempo di Dio. Lui solo può disporne. Che pertanto Gesù ne disponga porta a galla due cose:
a) Gesù si faceva “uguale” a Dio: “come il Padre opera sempre, – dirà – anch’io opero sempre”. Vi è una vincolo tra Gesù e il Padre, perché Gesù è il Figlio: vi è un legame di connaturalità.
b) Gesù manifesta la profonda intenzione di Dio, di essere “un padre” che si prende cura della sua creatura, dei suoi figli. Proprio quei figli che dubitano che Dio li possa trarre fuori dai propri mali, perché si sentono assediati dall’impotenza a guarire.
- Il senso del miracolo
Un ordine di tre parole scandiscono il miracolo: alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. Di per sé sarebbe bastato il primo verbo e, al massimo, l’ultimo ordine: a su di te il segno del tuo limite, lo spazio fisico dell’esperienza della tua impotenza. Il paralitico deve prendere su di sé il suo disagio e la sua debolezza: la vera guarigione consiste nel rapportarsi in modo diverso dalla rassegnazione e dall’autocommiserazione di fronte alla malattia. L’impotenza umana non viene dissolta, ma viene trasformato il modo di rappresentarsela alla coscienza e, quindi, di affrontarla. Poiché diverso è affrontare la propria debolezza da soli e un conto è affrontarla all’interno di un rapporto amicale e fiduciale con Colui che è Padre e Signore. Questo rapporto si costruisce nella fiducia che si dà alla Parola. Gesù guarisce mediante la parola, portando il paralitico non a contatto con l’acqua della piscina, ma con la sorgente interiore che zampilla dentro di lui (Gv 4, 14), cioè la sorgente dello Spirito Santo. L’uomo non guarisce quando gli diamo dall’esterno buoni consigli, ma quando lui entra in contatto con la propria sorgente interiore, lo Spirito Santo, che è Spirito datore di vita. Quale vita? La vita divina, ovvero quel rapporto originario espresso dal salmo “Mio bene è stare vicino a Te” (sal 72, 28). E’ il paradiso che l’uomo vive in anticipo nell’incontro di due sguardi che si capiscono e di due desideri che si incontrano. La festa, il vero sabato, quello che Dio ha sognato per l’uomo fin dalla creazione. La festa della dignità originaria dell’uomo. Tutto ciò suscita l’obiezione e l’opposizione dei giudei, chiusi dei loro schemi religiosi.
- Guarire nell’anima, ossia nel modo di sentire se stessi
La nostra identità di esseri umani è problematica, cioè non è autosufficiente, ma è bisognosa di poggiare su “altro”, perché non possiamo trarre dal nostro limite la possibilità di esaudire l’attesa della nostra aspettativa di infinito e di totalità. Nessuno basta a se stesso. Ogni persona attinge a delle risorse interiori, e queste risorse sono ciò che la sostengono. Tali risorse non sono astratte, si percepiscono e si sentono. Nelle vibrazioni di una persona si percepisce a quale fonte si alimenta la sua vita e il suo lavoro: se è la sete di potere, il desiderio di affermazione, la vanità o l’avidità, la pigrizia, in ultima analisi “la difesa di se stesso” oppure “altro”. Se tale orizzonte siamo noi stessi, lo si vede dalle nostre emozioni interiori e dai nostri atteggiamenti. In questo caso, ci comportiamo da giudici (questo non va, quello si dovrebbe fare così e quello cosà ecc.); si è scontenti quasi di tutti e di tutto; pretendiamo e trattiamo con arroganza il mondo. Noi siamo il centro, e tutto deve ruotare attorno a noi. Se al contrario il nostro orizzonte interiore è lo Spirito Santo lo si vede dal fatto che si ha un’energia quasi inesauribile. Il lavoro di questa persona irradia leggerezza e facilità. Non si avvertono tensioni. Siamo totalmente assorbiti dai compiti che ci sono dati da svolgere, non siamo dilaniati dalla preoccupazione che le cose vadano come abbiamo deciso noi, ci sentiamo liberi ed abbiamo uno sguardo positivo. Il lavoro che fluisce dall’azione dello Spirito Santo ha in sé qualcosa di leggero, spira fantasia e creatività, è contagioso e fecondo. Quando invece siamo scontenti ed esausti è sempre un indizio che non stiamo attingendo alle sorgenti dello Spirito Santo in noi: in tal caso, se ci ponessimo con verità di fronte a noi stessi, ci accorgeremmo che ciò che ci interessa è un qualche successo, l’essere riconosciuti ed applauditi, il consenso di chi ci sta intorno. Lo Spirito Santo ci conduce a esplorare gli ambiti della nostra interiorità. Ci permette di guardarli con gli occhi di Cristo. Ci guida a capire e a giudicare. L’ambito più profondo, quello che coincide con la nostra identità, a cui lo Spirito dischiude un nuovo sentimento e un nuovo modo di vedere.
La sintesi di questo nuovo modo di sentire se stessi è la percezione di sentirsi “figli” amati di quel Padre che ci ha dato il suo Figlio.
P. Antonello Erminio
Preghiera
Vuoi guarire?
Signore Gesù, donaci la volontà
di guarire da tutte le nostre segrete malattie:
come una rete sottile e nascosta esse bloccano il nostro slancio,
imprigionano il nostro desiderio, spengono l’ardore della nostra attesa
e ci impediscono di spingere lo sguardo
al di là di noi stessi e delle nostre povertà.
Tu conosci le nostre infermità, le nostre paure, le nostre pigrizie …
Non permettere che ci abituiamo a tanto squallore!
Con la bontà del tuo sguardo e con la forza della tua Parola
donaci la forza di rispondere al tuo pressante invito
con il “sì” della fede e dell’amore, affinchè ti seguiamo ovunque tu vai,
senza mai allontanarci da Te che hai accettato la morte di croce,
per aprire a noi la via del Cielo. Amen.