La morte di Gesù

Mc 15, 21-40  La morte di Gesù

E’ importante rileggere il racconto della passione del Signore e della sua morte ed entrarci dentro per patirla sulla_Caffaro_Crocifisso 3 nostra pelle, perché tutti noi dobbiamo fare i conti con il dolore e la morte. In una vallata francese all’entrata di un paesino, ci sono i segni della fede: c’è un calvario con tre croci e tutti i segni della passione. Al di sotto di questo calvario c’è una scritta che dice: “Guarda questo calvario, tu passeggero ignaro, guardalo bene: vedi tre croci. Scegliene una, perché è necessario sceglierla. O la croce del peccatore arrabbiato che non si rassegna a portarla, o la croce del peccatore che sente umiltà del suo male e si rivolge a Cristo con una domanda: “Abbi pietà di me!”, oppure la croce dell’innocente che espia i peccati di tutti”. E’ interessante perché, guardando al volto di Cristo crocifisso, impariamo a capire il punto più delicato della nostra umanità: la nostra vita ferita dall’umano. Anche io devo fare i conti con la mia vita e con la morte che sarà come il nocciolo di una noce. Quando si toglierà l’involucro, si vedrà cosa c’è dentro. Se io vivo della bellezza di quello che c’è dentro, quando la noce si romperà scoprirò che cos’è la luce, prima non posso capire.

E’ Gesù Cristo, dunque, che ti svela il senso della vita, chi sei, cosa c’è dentro di te, che cosa c’è sotto la scorza che presenti e che di fronte alla quale gli altri ti battono le mani oppure ti emarginano. Questo è il punto. Noi viviamo all’interno di un mondo che ci raccomanda la superficialità, la spettacolarità. Il racconto di Marco non è una semplice cronistoria del fatto. Egli organizza il racconto in modo che ne scaturisca un senso e il senso fondamentale che emerge dal suo racconto è la solitudine di Gesù morente. Si apre con la requisizione di Simone di Cirene che “viene costretto” a portare la croce e si chiude con il quadro delle donne che stanno a guardare “da lontano” e, in ogni caso, il lettore viene a sapere della loro presenza soltanto dopo che ha visto morire Gesù nella più completa solitudine. Ci sono dei presenti alla crocifissione, ma il loro modo di intervenire è per spingere Gesù nella solitudine più tetra rinfacciando la sua impotenza, come quando uno viene schiacciato e non può dire o fare nulla. I passanti bestemmiano il crocifisso e scuotono la testa rinfacciandogli ironicamente la sua pretesa profetica: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!”, come a dirgli: “Adesso lì sulla croce sei tu il tempio distrutto. Sei un fallito e un illuso!”

Anche i sommi sacerdoti e gli scribi lo sbeffeggiano rinfacciandogli la debolezza e l’abbandono in cui ora si trova: dov’è la sua potenza miracolosa se non è capace di salvare se stesso. Gesù non viene solo insultato, ma anche provocato e tentato ad “usare la potenza” sapendo che è immobilizzato: “Facci vedere che sei capace di salvare te stesso scendendo dalla croce. Così ci mostrerai che sei davvero Re d’Israele”. Gesù è insultato e tentato, ma resta nel silenzio, bloccato nella debolezza e nell’impotenza, lasciando che quegli scherni dilaghino e vengano ripetuti dai due briganti: e lui al centro, il condannato centrale, il peggiore dei malfattori. Sulla croce tutte le pretese di Gesù sembrano svuotarsi: le sue parole sul tempio, i suoi miracoli di salvezza, le sue dichiarazione di essere Messia e Re d’Israele. Se davvero fosse il Messia, l’inviato di Dio, non dovrebbe Dio soccorrerlo?

Marco scandisce l’agonia e la morte di Gesù sulle ore del giorno, che sono le ore della preghiera liturgica al tempio, per indicare che la vera liturgia si compie sul Calvario. Lo schema di tre ore in tre ore era noto nella letteratura  apocalittica per mostrare l’evolversi del tempo fino alla fine, in cui Dio avrebbe annientato il tempo vecchio per stabilirne il nuovo. Dio fa morire il tempo vecchio dell’uomo e dello spirito del male per dare origine al tempo di Dio. Il frantumarsi dei vecchi modelli di vita religiosi è la premessa perché Dio faccia ingresso nel nuovo mondo ed esautori ciò che vi è di demoniaco. Marco mostra questo attraverso a tre eventi che accadono durante la crocifissione e la morte di Gesù. “Si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio”. L’oscurità mostra ciò contro cui Gesù ha lottato per tutta la vita: il potere ostile a Dio che oscura il cuore dell’uomo. L’oscurità che giunge su tutta la terra è come un ritorno al caos primordiale. Il sole tramonta mentre sulla croce brilla il vero sole. Quando Gesù muore l’oscurità arretra e riprende la luce. Gesù, restando attaccato a Dio con fiducia, vince il potere delle tenebre, del dubbio, della sfiducia e del peccato. Il secondo evento è il modo di morire di Gesù. Gesù è solo sulla croce, nel più assoluto silenzio, i discepoli sono fuggiti, le donne guadano da lontano, e sotto la croce ci sono solo i soldati.

Ma giunta l’ora nona Gesù grida a gran voce “Eloì, Eloì lemma sabactani” sono le parole del Sal 22, che Gesù usa perché non ha più parole sue da dire. Non è un grido di disperazione, ma una confessione di fede verso Colui che resta l’ultimo a cui rivolgersi: “E’ un sussulto di fede. “Perché Dio lo ha abbandonato? Solo Dio può spiegarglielo. Solo Dio può rispondere a questa domanda angosciata: nessun uomo, nessun consolatore, nessun ermeneuta! Gridando quel “Lemà?” non contesta il cammino che il Padre gli ha fatto percorrere, ma nella desolazione riconosce che l’unica cosa che resiste è il faccia a faccia con il Padre: e perciò a Lui si rivolge stabilendo un ultimo estremo contatto con Lui, gridando forte. Dio lo ha realmente abbandonato nelle mani dei peccatori e lo ha gettato in mezzo a tutto il peccato del mondo che gli fa orrore e lo separa da Dio. Il Padre abbandona Gesù, ma Gesù non abbandona il Padre. Gesù ha dovuto passare da questo mondo senza Dio, patendo la kenosi, non però gridando nel vuoto. Quel grido che è l’ultimo lembo della fede di Gesù nel Padre viene frainteso, come se invocasse Elia, il patrono dei morenti. Ma Gesù, dentro quest’ultima incomprensione, emettendo un grande grido spirò. Trasse fuori da sé il pneuma (il respiro) e lo restituì al Padre.

Che cosa contenesse questo grido, Marco non lo dice: ma questo grido percorre tutta la terra e raggiunge il tempio, il cui “velo si squarciò in due, dall’alto in basso” (Me 15, 38). L’ordinamento del tempio è superato. Il velo che impediva l’accesso al Santo dei Santi è squarciato. Ora a tutti gli uomini è possibile accedere a Dio, non più attraverso tutta la complessa ritualità templare, ma liberamente. E’ l’aprirsi del tempio a tutti gli uomini con la possibilità di entrare in relazione e comunione con Dio. Il tempio aveva velato la “gloria di Dio”: sulla croce quel velo viene tirato via e noi possiamo vedere il volto misericordioso di Dio. Poiché Gesù ha effuso il suo spirito sul mondo intero, si può ora sperimentare l’amore di Dio dappertutto nel mondo e non più solo nel tempio. Chiunque lo voglia o meno si trova già nel tempio, poiché il mondo intero è il luogo dove Dio ha riversato l’amore del Figlio.

Il senso della croce  

A dispetto di tutte le apparenze e in contrasto con le (ragionevoli) derisioni dei sacerdoti, Gesù è proprio quello cheCAM00922 ha detto di essere. Ed è il centurione romano a riconoscerlo: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. E Mc precisa che il centurione lo ha compreso “avendolo visto morire in quel modo. Per Mc la croce è rivelazione. Ai piedi della croce qualcuno ha compreso. Nella croce si rivela il senso di Dio. Nel morte di Gesù viene in evidenza la verità di Dio (chi sia Dio).

Lì, nello spazio ristretto della Croce, spazio obbrobrioso, indegno ed umiliante, si manifesta paradossalmente un’immagine di Dio inattesa. Non un Dio potente che sbaraglia la prepotenza dei suoi accusatori. Né un Dio che si difende dall’ingiustizia e si serve della sua posizione di forza per abbattere chi lo sta schiacciando. Dio viene incontro in un modo che spariglia i pensieri umani su Lui. Sulla Croce Gesù abbraccia quella condizione oscura dell’uomo – condizione di male, morte e violenza – dove l’uomo maggiormente patisce il dubbio verso Dio: perché Dio permette il dolore innocente? Perché il male nel mondo? Perché la morte? Perché la violenza dell’uomo contro l’uomo? Perché la nostra inefficienza ed incapacità? Perché Dio non interviene? Questo grido carico di interrogazione il Signore Gesù ha voluto patirlo in prima persona e così trasformare la contraddizione in rivelazione, in luce e risurrezione. Lì dove la verità è rifiutata, l’amore sconfitto e Dio sembra assente: lì il Figlio di Dio si è inabissato condividendo il flusso contraddittorio della storia umana; e così bruciarvi con la sua obbedienza amorosa e infinita, tutta la miseria dell’esistenza umana.

E non solo. Là dove forma religiosa raccomanda  il dovere di sacrificarsi per Dio, vediamo capovolgersi la situazione: è Dio che invece si sacrifica “per l’uomo. Morire per Dio è duro ed eroico, ma conserva ancora una sua logica; che il Figlio di Dio invece sia morto per noi e si sia lasciato crocifiggere tra due ladroni; che abbia accettato gli insulti e gli sberleffi dei suoi carnefici salvando pure loro agli occhi del Padre con la ragione della loro ignoranza, risulta al di fuori di ogni ragionevolezza umana.

Qui si vede di che pasta è fatto Dio. Qui si vede che Dio è l’Amore misericordioso, quell’amore cioè che esprime una benevolenza verso ciò che non ha nulla di amabile. Per questo la croce è la folgorante rivelazione dell’amore di Dio per la creatura, che ne condivide il dramma generato dalla libertà e dal limite creaturale vissuti male, affinché ogni uomo possa cominciare a guardare alla propria condizione umana non più ossessiva né oppressiva, ma liberata e lieta. Il crocifisso dice così la verità di Dio e la misura del suo amore. Con il suo sacrificio è reso evidente il desiderio di Dio di entrare a qualunque costo in relazione con l’uomo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rom 5,8).

Abbiamo pregato: “Mi colmerai di gioia, Signore, festa senza fine”. Noi credenti abbiamo perduto la tensione finale di un lieto fine. Con gli occhi rivolti verso il basso perdiamo facilmente l’orizzonte verso il quale ci stiamo muovendo. Dove andiamo? Con una parola semplice diciamo: in Paradiso, ma è talmente astratto che non ci attrae. Bisogna allora comprendere che la fede vive là dove c’è un orizzonte che attrae. Il destino della nostra vita è entrare in una intima relazione con il Padre e la garanzia di questo futuro ci è stata data all’evento unico nella storia: la Risurrezione. Cristo Risorto ci spiega che anche noi verremo trasfigurati e il desiderio profondo di felicità si compirà nell’abbraccio definitivo con il Padre.

Tutta la fede cristiana ha bisogno di essere continuamente animata da questa tensione verso di Lui. Siamo troppo rannicchiati a difendere delle cose. La vita non può essere difesa ma donata!  Bisogna consegnarsi all’azione della grazia che opera attraverso la testimonianza che va a toccare la propria libertà. E’ lì dentro che uno incomincia a muoversi e a capire, a lasciare le sue sicurezze, ad avere il coraggio di navigare a mare aperto. Io devo ringraziare chi mi ha testimoniato la fede: io non l’avrei se non avessi incontrato dei testimoni. La fede è dono di testimonianza. La fede non va trattenuta, conservata, va vissuta dando così testimonianza. La si vive stando insieme alle persone, sorridendo, perdonato, ragionando con loro, piangendo quando è necessario.

La fede è un cammino e, San Giovanni, nel raccontare il mistero del Cristo risorto, vivo in mezzo ai suoi discepoli, vede la fede come un cammino che si radica sempre di più nel cuore di quelli che avevano vissuto con Gesù ma che, nel momento della rottura della morte, si erano smarriti. Devono ricominciare la fatica di una nuova relazione con lui che non sarà più come quella di prima, ma nella logica del Risorto. E’ un passaggio epocale: non ci sarà più nessun altro evento più grande del Cristo risorto. Noi siamo coloro che siamo stati raggiunti da questa testimonianza, adesso bisogna rendere la nostra umanità trasfigurata da questa testimonianza in modo che anche a nostra volta diventiamo testimoni come Maria di Magdala, come Pietro e Giovanni e poter dire: “Io l’ho visto con i miei occhi, con il mio cuore, l’ho incontrato! Proviamo a fare mente locale e pensare quando l’abbiamo incontrato. Senza la memoria di questi momenti nei quali il Signore si è chinato su di noi, non possiamo testimoniare. Bisogna essere grati di questi momenti nei quali non avevamo previsto quello che sarebbe accaduto. Forse è stato un amico che ci ha invitato ad un incontro, oppure casualmente siamo stati toccati da un dolore, da una ferita e dentro a quella lacerazione noi abbiamo visto una luce. Dimenticando questi momenti si perde la fede. San Giovanni dirà che la fede è un ricordare. I discepoli ricorderanno tutto quello che hanno vissuto e daranno la vita, perché quello che avevano visto era così certo che, fare finta di non aver visto voleva dire rinnegare se stessi.

San Giovanni racconta questo inizio facendo vedere come la risurrezione di Gesù cresce nella fede dei discepoli. Anche per noi è così: Gesù non è un caso drammatico, storico, scritto in un libro. E non è per la via del ragionamento e della dimostrazione con delle prove che si arriva alla Risurrezione di Gesù, ma attraverso l’evidenza che si chiama fede. La fede è un’evidenza che ha dentro di sé le sue ragioni e sono diverse da un esperimento. Non avevate un’evidenza quando vi siete sposati? E voi suore se non vi era chiaro avreste lasciato i vostri genitori, la vostra casa e forse il vostro fidanzato? No! Di fronte all’evidenza della fede non c’è da convincersi, c’è soltanto da accorgersi, da aprire gli occhi. Le evidenze non si dimostrano, si guardano! E difatti vedremo che questo racconto è tutto proteso a fare in modo che gli occhi di chi guarda si dilatino per vederle.

 Gv 20,1-10    Il sepolcro vuoto

pietro-e-giovanni-corrono-al-sepolcro-com-bose1 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. 10I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa.

 Gv 20,11-18   Maria di Magdala

11 Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15 Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. 16 Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” – che significa: “Maestro!”. 17 Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro””. 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto.

Noi non abbiamo letto un fatto di cronaca, ma un  fatto che contiene dentro di sé il cammino di coloro che hanno visto e vedendo hanno creduto. E’ il cammino della fede che dobbiamo fare anche noi e che deve passare dai segni della vita e riconoscere che Lui è lì. Il Risorto è qui in mezzo a noi! E’ qui attraverso la mia parola, il vostro silenzio, la vostra attenzione. E’ qui attraverso i segni, esattamente come Pietro e Giovanni vedono i teli distesi nel sepolcro. Una presenza assenza. La fede è la capacità di vedere attraverso i fatti la presenza misteriosa del divino. A noi la fede è arrivata attraverso la testimonianza dei testimoni.

 “Di buon mattino, quando era ancora buio”

12“Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quando era ancora buio”. Ancora una volta le annotazioni alludono a qualcos’altro. “Di buon mattino” e “quando era ancora buio” caratterizzano la scena come la nota d’inizio in una sinfonia: la fede è un venire alla luce a partire dalla condizione di oscurità. L’ora è verso il chiarore del mattino, ma è ancora buio, notte: una notte che si illuminerà soltanto quando Maddalena vedrà il Signore. Maria è la figura di colui che si sta incamminando verso la fede. Il richiamo alla luce e alle tenebre non riguarda la situazione che sta al di fuori dell’uomo, ma piuttosto esprime la sua situazione spirituale.

L’oscurità non è solo fuori, ma è dentro a Maria. Che fosse una notte che riguarda l’interiorità, lo si capisce da tutta la scena, ritmata sull’incapacità a vedere di Maria: vuole, ma non può. La fede accade come grazia sull’attesa umana, ma non è deducibile dall’attesa stessa. Finché Maria resta in una posizione naturale, può vedere soltanto il sepolcro vuoto: “Hanno portato via il mio Signore”. Il riconoscimento le è precluso.

 Guardare, credere, vedere.

La fede è un cammino. Lo sviluppo spirituale dell’itinerario della Maddalena è presentato da Giovanni attraverso l’uso articolato del verbo «vedere». Lungo il racconto c’è un lento passaggio che va dal «guardare» al «credere» per ritornare al «vedere». C’è un vedere fisico mediante i segni in cui c’è esteriorità tra il soggetto e gli oggetti visti. Questo vedere può diventare uno sguardo attento e aperto, senza però essere ancora il vedere credente, è il vedere come osservazione attenta ed un po’ introspettiva (è usato per Pietro e la Maddalena: vv.6.12.14: theorein). Infine c’è il “vedere della fede”: oraà (v.8: incominciò a credere); v. 18: “eoraka ton kurion”. Non basta guardare per vedere. C’è una condizione necessaria: il mettersi nella disponibilità credente. -È così per ogni itinerario di fede. Dall’oscurità, ad un certo momento, incomincia a emergere la luce dell’incontro con Gesù Cristo.

I passi sono: Vedo Gesù e lo sento. Ma è ancora un percepire legato alla propria sensibilità. Si guarda, ma non si vede. C’è oscurità. La relazione con Cristo è ancora esterna. Poi «credo» e allora mi trovo al di dentro la realtà misteriosa che mi sta davanti. Vado oltre la mia sensibilità: mi apro per ricevere. Sono disponibile alla diversità di ciò che mi sta dinanzi. Sono dunque in sintonia di fronte al mistero. Soltanto ora: Credendo, posso vedere e riconoscere il Signore.

Spezzando il racconto di Maria al sepolcro per introdurre la corsa dei due discepoli, l’evangelista ha uno scopo apologetico, vuole attribuire un ruolo primario alla testimonianza di Pietro. Utilizzando i materiali sinottici allarga la visione: non vuole lasciare la testimonianza della risurrezione unicamente poggiante sulla testimonianza delle donne (avrebbe avuto poco valore per il mondo ebraico); inoltre vuole fugare la diceria del trafugamento del cadavere: per questo essi vedono che bende e sudario non erano gettati alla rinfusa per terra, ma distesi nella posizione iniziale senza essere stati manomessi.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   P. Antonello Erminio

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: