Per ascoltare l’audio della catechesi: prima parte
seconda parte
La luce e il fuoco dello Spirito generatore di carità
Abbiamo visto i tre grandi “rivestimenti” del cristiano (fede, speranza e carità), ma il loro tessuto viene ricamato in noi dallo Spirito Santo. Come fuoco e calore che fonde, scioglie e rimodella tutti i metalli nella varietà delle loro forme. Quando lo Spirito agisce in noi ci si sente rinnovati non in forza di una propria strategia ascetica, ma dall’amore di Cristo. Quest’amore grida nell’intimo della sua coscienza di fede:
“Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Né tribolazione, né angoscia, né persecuzione, né fame, né nudità, né pericolo, né spada. in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Niente potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8, 36 ss.).
“Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. (1 Cor 2, 12-13).
Ecco il punto: lasciarsi plasmare da questa azione misteriosa della grazia dello Spirito. Ma che cosa fa lo Spirito? È una forza che spinge. È una voce che grida in noi: “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili” (Rom 8, 26).
Esso soffia come vuole e dove vuole: a volte è una brezza leggera, a volte trascina via come vento impetuoso. Sempre trascina, unisce e feconda. Il compito proprio dello Spirito è quello di attraversare i “diversi” e le “differenze”. E nell’attraversare tutte le personali scissioni interiori dell’anima e, fuori di noi, le differenze tra persone, le unifica e le armonizza. Salda le frammentazioni interiori, guarisce i disagi che dilaniano l’anima. Reca pace, appunto unità. E perché? Perché è l’Amore di Dio che silenziosamente alita nelle coscienze la vita divina. Se si vuole diventare capaci di operare nell’energia del carisma della carità, occorre consegnarsi all’azione dello Spirito…
a) Se l’orizzonte delle nostre attività siamo noi stessi, lo si vede dalle nostre emozioni interiori e dai nostri atteggiamenti. In questo caso, ci comportiamo da giudici (questo non va, quello si dovrebbe fare così e quello cosà ecc.); si è scontenti quasi di tutti e di tutto; pretendiamo e trattiamo con arroganza il mondo. Noi siamo il centro, e tutto deve ruotare attorno a noi. In tal caso, se ci ponessimo con verità di fronte a noi stessi, ci accorgeremmo che ciò che ci interessa è un qualche successo, l’essere riconosciuti ed applauditi, il consenso di chi ci sta intorno.
b) Se al contrario il nostro orizzonte interiore è lo Spirito Santo lo si vede dal fatto che si ha un’energia quasi inesauribile. Il lavoro di questa persona irradia leggerezza e facilità. Non si avvertono tensioni. Siamo totalmente assorbiti dai compiti che ci sono dati da svolgere, non siamo dilaniati dalla preoccupazione che le cose vadano come abbiamo deciso noi, ci sentiamo liberi ed abbiamo uno sguardo positivo. Lo Spirito Santo ci conduce a esplorare gli ambiti della nostra interiorità. Ci permette di guardarli con gli occhi di Cristo. Ci guida a capire e a giudicare l’ambito più profondo di noi stessi, quello che coincide con la nostra identità, a cui lo Spirito dischiude un nuovo sentimento e un nuovo modo di vedere. Il lavoro che fluisce dall’azione dello Spirito Santo ha in sé qualcosa di leggero, spira fantasia e creatività, è contagioso e fecondo.
La persona toccata dallo Spirito diventa capace di amare secondo il modo di Dio (1 Cor 13).
Paolo descrive la carità come dono che attraversa i gesti dell’uomo e li oltrepassa a tal punto che nemmeno i gesti più eroici senza di esso non sono nulla. Senza carità, l’eroismo, la conoscenza e l’impegno generoso in ogni cosa, non sono nulla. Paolo utilizza il sostantivo agape senza alcuna specificazione grammaticale, né di aggettivi, né di complementi: la carità, agape, viene eretta a grandezza unica e autonoma, quasi personificata. Essa è riflesso di Dio sull’uomo e dà all’uomo una dimensione che trapassa il tempo e la storia.
1 Cor 13, 1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. 2 E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. 3 E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
a) Le antitesi della carità
In un primo quadro Paolo offre un crescendo di tre antitesi, in cui si vuole mostrare il valore unico ed insostituibile della carità. L’amore dà valore a tutti i doni carismatici: l’agape sta al di sopra di tutto: 1 Cor 13, 1-4. Il primo confronto è tra l’amore e il pregare estatico con parole misteriose e incomprensibili che suscitavano ammirazione tra i primi cristiani di Corinto: ebbene, privo dell’amore questo fenomeno strabiliante è simile al rumore assordante di un pezzo di bronzo o al suono gioioso del cembalo. Senza carità il parlare in lingue è suono vuoto. Tradotto per noi questo linguaggio significa che la carità non si identifica con un parlare che incanta: vi sono alcuni cristiani che hanno il dono di parlare bene, eppure non comunicano nulla. Manca loro l’esperienza della carità. Il secondo confronto è con la profezia e con la fede taumaturgica. La profezia è il parlare ispirato, che sa entrare nei disegni di Dio o la conoscenza religiosa che sa interpretare la parola di Dio. La fede taumaturgica sa fare cose straordinarie fino a trasportare le montagne. Ebbene, se non c’è l’amore tutto ciò non è niente, dice Paolo. Le grandi azioni senza carità sono solo apparenza e quindi sono vuote. È solo quando amo, “con amore di carità”, che esprimo la verità di tutto ciò che esiste. Ed è solo quando amo coloro che mi stanno di fronte che essi prendono consistenza e importanza, altrimenti restano come ombre inconsistenti.
Il terzo confronto è con i carismi di carattere operativo. Paolo considera il caso estremo di dar via tutte le proprie sostanze materiali oppure l’eroismo di sostituirsi ad uno schiavo per essere marchiato al suo posto con il fuoco e così liberarlo. Ebbene anche questi casi estremi di generosità umana, se non sono generati dall’amore si riducono ad essere gesti spettacolari, che rischiano di innescare atteggiamenti di vanagloria.
Che cos’è allora la carità, che non può essere caratterizzata nemmeno da elementi di così alta ed eroica generosità?
b) I contrassegni della carità
Paolo presenta poi le note che caratterizzano la carità. Non sono caratteristiche ammirevoli, ma quotidiane. Il soggetto di tutti i verbi del brano è la carità: la carità è presentata quasi come una persona, siamo per così dire di fronte ad una persona, quando è impastata di carità. Perciò Paolo parla della carità in azione, non della carità nella sua natura astratta. Si tratta di verbi attivi che esprimono l’atteggiamento voluto per stare di fronte all’altro. Sono tutti verbi che esprimono relazione e permettono di entrare in rapporto con il prossimo: non dicono il che cosa fare, ma il come essere. Ora Paolo sta parlando dell’amore del prossimo, non dell’amore per Dio. E chi è questo prossimo che trapela da questi verbi? È concretamente il fra fratello della comunità con i suoi difetti, i suoi limiti, le sue diversità: il fratello che ci irrita per il suo zelo smodato; il fratello che ci contrasta con le sue idee balzane; il fratello pigro che mette sulle spalle degli altri le fatiche della comunità; il fratello che ci infastidisce perché si mette in mostra; il fratello brontolone a cui non va mai bene nulla perché cerca i suoi comodi. La carità, dunque, connota gli atteggiamenti da avere in tutti questi casi: precede, suscita e accompagna i gesti; è un movimento o una propensione interiore con cui ci si relaziona con l’altro, piacevole o ispido, comunque ci si presenti concretamente nelle circostanze particolari della vita.
Le prime due qualità dinamiche (“La carità è magnanima e benevola”) suggeriscono l’idea di essere di animo grande, che sa dar credito e fiducia e l’idea di signorilità nell’essere caritatevole; è l’attitudine di chi aiuta, prevenendo, con discrezione e senza giudizio, con atteggiamento affabile e gentile. Questi due tratti spesso sono associati e riferiti all’agire di Dio che è magnanimo e benevolo (Rm 2, 4; cf Mt 5, 45). Ambedue caratterizzano il frutto dello Spirito che è amore (Gal 5, 22).
Seguono otto espressioni negative o atteggiamenti che dicono che cosa non fa la carità. Esprimono modi che la persona impregnata di carità non attua nelle sue relazioni con i fratelli:
4b La carità non è invidiosa, non si vana, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si complice della verità.
La carità esclude l’invidia e la gelosia che non sanno gioire del bene che si trova negli altri. Questi vizi esprimono grettezza d’animo e creano divisioni: essi nascono dall’incapacità di vedere (in-vidère) il bene che ciascuno possiede. L’autoesaltazione e il rigonfiarsi poi tendono a oscurare la dignità dell’altro per mettere in risalto solo se stessi. La carità non pretende che gli altri si pieghino a sé, non si adira quando gli altri pensano diversamente. La carità non è autocentrata, non cerca se stessa (ou zeteì tà eautes: non ricerca le cose di sé), perché la carità imita Gesù, il quale “non cercò di piacere a se stesso” (Rm 15, 3). Quando si fanno gravitare gli altri attorno a sé, quando non si vedono le necessità degli altri e tutto deve ruotare attorno a sé: quando si è auto-referenziali, non c’è amore. La mancanza di amore si vede nel narcisismo, che rivela la grettezza d’animo e l’immaturità affettiva. La carità invece è rispettosa di quello che l’altro è; ne sa riconoscere la dignità: non ferisce l’animo del prossimo; è attenta, sensibile, tiene conto della fragilità del prossimo. Fa vivere la relazione con l’altro in maniera semplice, affettuosa, libera e generosa, perché l’altro è avvicinato con gli occhi di Dio, che è l’Amore.
L’amore poi rende possibile l’autocontrollo emotivo in situazioni difficili come l’ira, ma soprattutto non tiene conto (ou loghizetai: non calcola) del male, non conserva rancore, non accusa. Sa che tutti possono sbagliare e concede il beneficio della buona fede a chi ci ha offeso. Non si rallegra per l’ingiustizia: soffre di fronte al male, perché il male è sempre negazione della verità. Infine, la carità si rallegra (sun-chairei: gioisce insieme) per la verità. La verità è il vertice dell’amore. Quando nella relazione con altri c’è la ricerca sincera della verità, allora in quel rapporto si fa strada l’amore. L’amore si nutre della verità.
7-8 La carità tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.
Le ultime quattro qualità dinamiche dell’amore esprimono la capacità di resistere di fronte ad ogni contrarietà che l’altro possa procurare e conservarsi nella benevolenza dell’altro. Sa coprire e sa resistere nelle prove: la carità non si lamenta delle freddezze e delle ingratitudini. Vede e patisce questi atteggiamenti, ma non si adagia su di essi costruendo il rifiuto dell’altro. I due verbi centrali credere e sperare connotano l’amore come totale fiducia e apertura anche quando il volto dell’altro si mostra oscuro e indesiderabile senza fermarsi su ciò che lo contraddice; per questo sa aprire un orizzonte positivo verso il futuro. Non si dice di Dio che crede e che spera: queste attitudini sono proprie dell’uomo. Di Dio si dice che “ama”. Questo allora ci mette in guardia, ci fa capire che l’amore è per sua natura divino. Possiamo dire che la carità è una realtà che non appartiene a questo mondo. Si può dire che è un frammento di Dio nel mondo. È un anticipo del mondo futuro. Tutto sparirà: solo l’amore resta.
c) La carità e il tempo
8-13 La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma, allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.
Alla fine, le due sorelle della carità, la fede e la speranza, resteranno alla porta dell’incontro con Dio. L’amare e l’essere amati sarà la vita soprannaturale in Dio. Oggi vediamo come in uno specchio, oggi conosciamo come i bambini, oscuramente e frammentariamente: ma quando la carità sarà perfetta in noi, ossia in paradiso, allora “conosceremo come siamo conosciuti”, vale a dire ci sarà la trasparenza completa tra l’uno e l’altro. La trasparenza reciproca di fatto è il sogno di chiunque è innamorato. E questo sarà il futuro della carità: una perfetta reciprocità, in cui l’altro non sarà più sentito nei suoi limiti e nelle sue ombre. L’altro non ci farà più paura e non nutriremo più alcun timore di lui. Questo è ciò che resisterà per l’eterno. Perciò “la carità non avrà fine”. E questo è ciò che è già possibile vivere nella comunità cristiana.
Che cosa possiamo imparare da questo brano di san Paolo?
a) La carità non va identificata con i gesti della carità: li precede e li guida. I gesti di solidarietà verso gli altri, anche i più eroici, sarebbero vuoti senza la dimensione della virtù della carità. Il cristianesimo porta ogni credente a fare i conti con la verità della sua interiorità: senza della quale i gesti perdono valore e consistenza.
b) La carità si caratterizza per un atteggiamento interiore, a cui bisogna educarsi. Tale atteggiamento personale possiamo definirlo come benevolenza o capacità di essere amabili verso se stessi e verso gli altri. Una benevolenza che sa valorizzare la differenza che ogni altro porta con sé.
c) La carità è la dimensione dell’esistere propria di Dio, Trinità d’amore, su cui ogni creatura è modellata come somiglianza ed immagine. È perciò è sull’amore che si misura la dignità dell’uomo, perché esso è la stoffa di Dio con cui sarà rivestita ogni persona nella realtà futura.
Padre Antonello Erminio