4 incontro 19 marzo La Carità

Qui si può ascoltare l’audio dell’incontro

prima parte

seconda parte

 

Inviati nel mondo per essere frammenti dell’Amore di Cristo

Tutto il messaggio di Gesù, la sua Rivelazione, le sue parole, sono intrise del mistero di amore che Egli ha vissuto come Figlio nel seno del mistero di Dio, Trinità d’amore. E incarnandosi egli ha introdotto nel nostro mondo questo suo “modo divino di vivere”, basato sulla logica della donazione gratuita e amorevole verso ogni altro uomo che ci sta a fianco. Così “ogni altro”, in forza dell’amore di Gesù effuso con lo Spirito nel mondo non è più estraneo a noi, ma è connaturato con ciascuno di noi.: è nostro fratello. I cristiani hanno chiamato “agape” questo amore, che Gesù ha portato nel mondo. E nel momento supremo della sua vita lo ha lasciato come testa­mento ai suoi discepoli, e quindi anche a noi, come mandato della carità. L’amore gratuito verso chiunque altro è pertanto il distintivo dei credenti in Lui. Egli è stato il primo a volerci bene: si è coinvolto con la nostra umani­tà, amandoci oltre ogni nostra misura. Ed anche noi, se vogliano essere cre­denti in Gesù, siamo chiamati a metterci a disposizione degli altri, favoren­do che tutti quelli che incontriamo si sentano rinascere a nuova speranza incontrando noi. La carità è così amabilità generosa che si diffonde tra gli uomini come un sottile filo d’aria fresca che ristora.

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 34-35).

1. La carità ci innalza all’altezza di Dio

La vita si nutre dell’amore. Nessuno può vivere senza amore. L’amore che caratterizza la carità è una condiscendenza verso gli altri senza alcuna pre­tesa di dominio o di superiorità. È riconoscere negli altri una dignità pro­pria che Dio apprezza. È una qualità spirituale dell’animo, di cui san Paolo dice:

“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cembalo che strepita. E se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se persino possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi via tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per essere bruciato [a favo­re di altri], ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe” (1 Cor 13, 1-3).

Che cos’è allora “la carità”, che non si identifica né con l’abilità di riuscire a parlare con tutti gli uomini possedendo le loro lingue, né con la forza mi­racolistica di una fede capace di trasportare le montagne, e nemmeno con una generosità tale da mettere a rischio il proprio corpo a favore degli altri? La carità è l’energia gratuita dell’amore che sa assumersi la responsabilità di stare di fronte agli altri con l’atteggiamento di sguardo buono e positi­vo. La carità non giudica, non si scandalizza degli altri, non cerca il proprio interesse. Come ancora dice san Paolo:

“La carità è di animo grande. È benevola la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio in­teresse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiusti­zia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sop­porta” (1 Cor 13, 4-7).

2. La carità genera vita

La carità è un’azione che non si esaurisce con l’elemosina. Si può dare in elemosina qualcosa, ma senza carità. Non ci sono dubbi che ogni buona azione con cui si dona qualcosa per il bene di un altro che è bisognoso sia meritoria e vada fatta. Ma la carità va oltre: è un atteggiamento del cuore che sa guardare agli altri con quella amabilità con cui Dio stesso li guarda. Quest’amabilità ha una forza particolare: aiuta ogni altro a vivere la sua umanità con soddisfazione, perché si sente riconosciuto nella sua dignità. In ogni uomo c’è un dinamismo che ci è stato fornito da Dio nell’atto della creazione. È il dinamismo della necessità di dover essere riconosciuti dagli altri. Abbiamo bisogno che altri ci riconoscano perché noi abbiamo a sen­tirci di essere “qualcuno”.

Noi stessi viviamo del fatto di essere voluti. È molto misterioso il fatto che noi esistiamo, mentre potremmo non esistere. La nostra nascita è un mira­colo con cui Dio si è deciso per noi e ci ha voluto bene volendoci all’esistenza. Noi nasciamo dalla grande gratuità di Dio, che si esprime at­traverso la cura e l’affetto dei nostri genitori. Senza quest’affetto gratuito nessun essere umano può reggere la vita e la sua fatica. Ma questo dinami­smo non si ferma solo al momento della nascita: è un dinamismo perma­nente in noi. È il dinamismo del riconoscimento. Quando la nostra umanità si sente apprezzata e riconosciuta per la sua dignità, noi sperimentiamo un sentimento positivo che ci fa stare bene. Tutti abbiamo bisogno della stima degli altri, non misurata su quanto ci meritiamo, ma semplicemente sul fat­to di essere riconosciuti in quella dignità che è la ricchezza di ciascuno e che anticipa ogni nostro merito. È questo il modo in cui Dio ci guarda, tutti, senza distinzione come insegna Gesù:

 “Siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?” (Mt 5, 45-47)

Allora la carità è prima di tutto questo amore di benevolenza, libero da in­teresse, con cui guardiamo gli altri. La cosa bella è che, nutrendo questo sentimento di amabilità verso gli altri, diamo a loro la possibilità di sentirsi vivi e, di riflesso, anche noi stessi ci sentiamo vivi. La carità sa gratificare gli altri e gratifica anche noi. La carità cristiana è perciò prima di tutto que­sto sguardo buono e positivo verso coloro che ci stanno accanto, andando al di là dei loro eventuali difetti o delle ferite che ci possono avere procurato. La carità, dunque, si caratterizza per la nobiltà d’animo con cui si sta di fronte agli altri, comunque siano. “Comunque siano”, perché la carità non dipende da come sono gli altri, ma di come sono io. Questo modo di essere è “divino”: ed è per questo motivo che solo con la grazia dello Spirito San­to, che inabita nel credente, si può agire in questo modo. Infatti, noi possia­mo agire secondo questo modo, perché Dio ci ama per primo. E di conse­guenza anche noi possiamo essere capaci di amore verso gli altri.

“In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha ama­to noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri pecca­ti. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli al­tri.  Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito” (1 Gv 4, 10-13). 

3. La carità va pregata, poiché è un dono dello Spirito

Poiché la carità ha la sua radice in Dio va pregata, cioè va chiesta come dono a Dio. Praticare l’amore verso gli altri, riconoscendoli fratelli anche quando ci hanno fatto del male o ci sono indifferenti – come chiede Gesù – può sembrare impossibile. Eppure, con la grazia dello Spirito, passo dopo passo, ci si può avvicinare. Quando sentiamo qualche rancore, quando gli altri ci danno fastidio, raccogliamoci in noi stessi e ascoltiamo con una pre­ghiera interiore le parole di Gesù:

 “Io vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti per­cuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiuta­re neanche la tunica. Dà a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? An­che i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è mise­ricordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6, 27-38).

4. La carità va praticata nell’aiuto concreto ai bisognosi

L’uomo non ha solo bisogni spirituali, necessità anche di tanti altri bisogni. La carità allora si trasforma in aiuto. Diventa capacità di condivisione dei propri beni con chi è nel bisogno. Fa parte della nostra umanità condivide­re, senza trattenere egoisticamente i propri beni illudendosi che essi siano la nostra salvezza. Una condivisione caritatevole è fatta nel nome di Gesù. Con essa si esprime al fratello che nella povertà Dio non l’ha abbandonato, poiché l’elemosina fatta con amore equivale a far sentire all’altro che Dio gli è vicino. Per questo Gesù ci ammonisce dicendoci che la carità praticata come elemosina è discreta:

“State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dal­la gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua de­stra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel se­greto, ti ricompenserà” (Mt 6, 1-4).

Lo stile di questa carità è stato insegnato da san Vincenzo de’ Paoli, mae­stro nella carità. Ed è stato poeticamente interpretato nell’ultima scena del film Monsieur Vincent. Qui il regista mette in bocca a san Vincenzo, men­tre riceveva la più giovane delle sue figlie che sarebbe per la prima volta andata a visitare i poveri, delle parole che riassumono tutto lo spirito della carità come condivisione di amore verso i poveri:

“Piccola Jeanne, ho voluto vederti. So che sei coraggiosa e buona. Tu vai do­mani per la prima volta dai poveri. Non ho sempre potuto parlare a quelle che andavano dai poveri per la prima volta. Eh, non si fa mai quello che si do­vrebbe! Ma a te, la giovane, l’ultima, debbo parlare, perché è importante. Ri­cordati bene, ricordatelo, sempre: tu vedrai presto che la carità è un fardello pesante, più pesante della pentola della minestra e del cesto del pane che tu porti. Ma tu conserverai la tua dolcezza e il tuo sorriso. Non è tutto dare il brodo e il pane. Questo anche i ricchi possono farlo. Ma tu sei la piccola serva dei poveri, la Figlia della Carità, sempre sorridente e di buon umore. Essi sono i tuoi padroni, padroni terribilmente suscettibili ed esigenti, lo vedrai. Allora più saranno ripugnanti e sudici, più saranno ingiusti e rozzi, più tu dovrai dar loro il tuo amore. E non sarà che per questo tuo amore, per il tuo amore sol­tanto, che i poveri ti perdoneranno il pane che tu darai loro”.

Questo è il modo concreto di vivere la carità verso i deboli ed i poveri.

 

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