Pace a voi!

Domenica 24 febbraio alle 15, si terrà il 3° “Incontro con la Parola” nella Casa Madre delle Suore di Montanaro. Prendendo spunto dal versetto evangelico “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,19-23), padre Antonello Erminio proseguirà la riflessione sull’esperienza del Risorto nella nostra vita. 

L’incontro è aperto a tutti!  

Qui puoi ascoltare la prima parte della meditazione

Qui puoi ascoltare la seconda parte della meditazione

“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi!”

(Gv 20, 19-23)  19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Si­gnore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, alitò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

  1. Per Giovanni le annotazioni temporali esprimono sempre il clima dello spirito. Cala la tenebra e c’è malinconia e incertezza. Pare che l’avventura vissuta con Gesù e le speranze nutrite alla sua sequela siano finite allo stesso modo di come è calata la notte di quel primo giorno senza Gesù. Le donne che avevano annunciato al mattino il sepolcro vuoto non hanno avuto la forza di ridare fiducia: erano inattendibili! Il trauma della morte di Gesù è stato troppo repentino e grande. Non solo. “Le porte sono sbarrate”: serpeggia l’agoscia di qualche aggressione anche verso di loro come contro il Maestro. Domina un clima di delusione e amarezza. La situazione è quella di un lutto da elaborare, forse anche con una qualche scintilla di speranza, ma la desolazione è dominante. Quella morte ignominiosa, cui loro stessi avevano partecipato con il tradimento era un macigno che opprimeva le loro coscienze. Erano pieni di vergogna per quello che avevano fatto. Che cosa si poteva ragionevolmente sperare?
  2. Ma ecco accadere l’inattendibile. Una presenza entra dentro questa situazione di tenebra. Non si dice che Gesù “apparve”, né che “si fece vedere”, ma che: stette là in mezzo: ”. Non c’è niente di soggettivo. C’è invece una presenza oggettiva, toccabile, sperimentabile. Quasi un fermo immagine, che colpisce in contrasto con il racconto precedente di Gv 20, 1-18, dove la scena intorno al sepolcro è tutta in un andirivieni movimentato. Dunque dopo la scena carica di movimento, d’improvviso tutto si ferma. E Gesù “sta là in mezzo”. In mezzo alla loro paura che li ha pietrificati, al loro scetticismo, alla loro incredulità.
  3. In quel momento che cosa sarà passato per la mente dei discepoli? Il Vangelo dice: “Gioirono al vedere il Signore”. Sparisce la vergogna di quello che avevano fatto, appare la letizia: Il motivo è che si presenta loro con una parola liberatrice: “Pace a voi!”. Ripetuto, perché deve risuonare come un richiamo di forte realismo nel loro animo. Devono capire che non è un modo di dire, ma è l’accadere di un evento che li guarisce fin dentro le profondità dell’animo. In greco “pace” (εἰρήνη deriva εἲρω), significa intrecciare, legare insieme, la cui radice sanscrita sarat, indica il “filo”: dunque Gesù cuce insieme i due lembi delle ferite che i discepoli hanno causato con il filo dell’amore. Cuce insieme la separazione tra sé e i discepoli, che il loro tradimento aveva causato. Ora possono risentire l’unità con Gesù. Non più a partire dal sentimento dell’attrattiva che avevano provato verso di Lui durante la sequela terrena, ma dall’amore che risana il loro distacco.
  4. La pace nasce da qui: dal vedere i segni dell’amore: “Mostrò loro le mani e il costato”. E’ la pace promessa. Alla chiusura del cap. 16, 33: “Vi ho detto queste cose, perché abbiate pace in me. Avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia in me: io ho vinto il mondo”. E ancora in 14, 27 quando promette lo Spirito consolatore: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”.Questo è il miracolo del Risorto: una Presenza che restituisce ai discepoli la loro identità. Scoprono di esistere in quanto abbracciati da quel Cristo che li ama. Si sentono amati, perché perdonati. E’ dunque la vista del Cristo ferito che li libera dalla paura e li rallegra.
  5. La scena mette in luce che non ci si può nascondere di fronte alle proprie ferite e a quelle che procuriamo agli altri. E che queste ferite non sono ostacolo per vivere. Anzi la propria ferita rende umili e generosi verso la ferita degli altri. Dobbiamo riconoscere che anche noi ci siamo feriti gli uni gli altri. Tante volte per l’immediatezza dell’impulso abbiamo ferito i fratelli non degnandoli della nostra stima o non considerandoli come persone sincere e valide. Tutti abbiamo la possibilità di procurare ferite pronunciando parole di superiorità: i più intelligenti e sicuri di sé sui timorosi e timidi; i più deboli ferendo con il mutismo o covando rancori e risentimenti verso i superiori. Il problema però non è che questo possa accadere, il problema è di interrogarci se abbiamo il coraggio di guardare le ferite che abbiamo inflitto e ricevuto e riconoscere che c’è un amore che non ci abbandona, ma viene a cercarci. Forse zoppichiamo in tante cose, ma se il Signore si fa presente, e lo sentiamo vivo in noi, possiamo gioire nell’animo. Siamo ancora capaci di gioire al sapere che il Signore è dentro alla nostra vita? Il Signore ci procura gioia? Non siamo per caso diventati “indifferenti” a/di Lui. Abbiamo mille cose/attività che saturano il desiderio dell’anima?
  6. Non ci può essere testimonianza della “Lieta Notizia” senza questa gioia di fondo, che risana le nostre ferite. Il Verbo, fatto carne, è stato crocifisso e ucciso. Lui ha voluto essere senza potere di fronte al potere del mondo. Lui ha osato essere vulnerabile di fronte a tutto ciò che gli uomini gli hanno fatto. Se siamo testimoni della “Verità crocifissa”, allora anche noi dobbiamo fare i conti con le nostre ferite. Quando guardiamo al Cristo ferito, allora diventiamo consapevoli delle nostre personali possibilità. Forse siamo stati feriti da bambini per essere cresciuti in famiglie disgregate, o da sconclusionati tentativi di amare. Ma Il bello è che siamo consacrati, cioè legati a Cristo, non perché perfetti, giusti e impeccabili; ma proprio per il fatto che siamo feriti-amati. E quindi possiamo dire parole di speranza e di misericordia perché noi stessi abbiamo avuto bisogno di quelle parole e ne abbiamo esperimentato il calore. Possiamo dal fondo di noi stessi raccoglierci attorno alla piccola, ma potente, scintilla della nostra libertà e, da questo punto così “nostro”, smettere le nostre difese e farci semplici dicendo al Signore: “Ti voglio bene!”?
  7. Dopo aver esperimentato il contatto con le piaghe di Gesù, i discepoli sono da lui mandati fuori dal chiuso della stanza. “Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi … alitò in loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete , resteranno non rimessi”. I discepoli sono mandati nel segno dello Spirito. Ne sono investiti. Lo Spirito li inonda. E’ la pentecoste giovannea. Da questo momento non agiscono più in forza di una loro sapienza o potenza, ma in forza dello Spirito che è stato “soffiato” in loro. E come lo Spirito è potenza di unificazione (mentre il peccato è disgregazione), anch’essi sono abilitati a liberare coloro che entrano nella loro sfera di influenza da tutto ciò che divide e ostacola l’unità. Perché la vita è unità. Ed essi sono mandati a moltiplicare la vita come il Maestro: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10). Il mandato missionario consiste nel generare vita, voglia di vivere, speranza e pace (P. Antonello)
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