per ascoltare l’audio dell’incontro prima e seconda parte
1.“Tu sei prezioso ai miei occhi. Non temere io sono con te” (Is 43,4)
Il cristianesimo è ben descritto da questa espressione di san Paolo: “Questa vita che vivo nella carne, la vivo nella fede di Gesù Cristo che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20). Prima di tutto è una “vita”: è la relazione fiduciosa con Gesù Cristo, che si è chinato su di me (come su ogni uomo) e mi fa sentire il calore della sua tenerezza. Lo ha fatto concretamente, donando se stesso sulla Croce “per me”, perché nessuna mia “croce” fosse un fallimento. E continua a vivere accanto a me, affinché la mia fragilità e debolezza – “la mia carne” – non sia abbandonata a se stessa, ma accompagnata dalla sua Presenza di amore.
“Venite a Me – dice Gesù – voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io sarò vostro ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore; e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,28-30)
La vita cristiana dunque – come ripetono papa Benedetto e papa Francesco – non è prima di tutto un insieme di dottrine o di insegnamenti morali, ma è l’incontro con una Persona – la persona di Gesù – che funziona “da bussola” e “fa compagnia” per attraversare lietamente le circostanze della propria vita, la relazione con i famigliari, gli amici e gli altri, le fatiche di ogni giorno.
“I cristiani che seguono solo dei “doveri” – spiega papa Francesco – non hanno un’esperienza personale di quel Dio che è amore, che prima salva e poi comanda. Essi dicono: “Io devo fare questo, questo, questo… Solo doveri!”. “Ma manca qualcosa! Qual è il fondamento di questo dovere?”. “Ah, si deve fare così”. No: il fondamento di questo dovere è l’amore di Dio Padre, che prima dà, poi comanda. Porre la legge prima della relazione non aiuta il cammino di fede” (Udienza 27.06.2018).
Si tratta allora di assumere l’atteggiamento fondamentale che aveva Gesù. E il primo atteggiamento era di essere in intima dipendenza dal Padre. Diceva Gesù: “Io non sono mai solo; sono con il Padre che mi ha mandato … e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha indicato il Padre. … Sappiate che il Padre è in me ed Io sono nel Padre” (Gv 8,16. 28; 10, 38). E così ugualmente egli chiede ai discepoli: “Restate con me, perché senza di Me non potete fare nulla” (Gv 15, 5). La fede consiste in questo fidarsi ed affidarsi a Gesù, il Vivente, che ci ama e accompagna attraverso le circostanze buone o avverse nella vita, come ancora una volta testimonia san Paolo:
Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori in forza di Colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8, 35-39).
La Vergine Maria ci insegna a vivere di fede. Lei è stata la prima discepola di Gesù. Ha vissuto di Lui e ha vissuto per Lui. In ogni circostanza viveva una relazione affettiva e profonda con Lui. Lo ha seguito in ogni evento, anche quando non capiva, fino alla croce con il medesimo atteggiamento: “Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che mi hai detto” (Lc 1,38).
Si parla di felicità, d benessere, di realizzazione personale, di sviluppo sostenibile, ma del senso del mondo che abitiamo e della destinazione autentica a cui siamo destinati si preferisce tacere. E’ oggetto di una capillare rimozione sociale. Di ciò che può “generare senso” che dia ragione al vivere non si parla più.
2. Il sentimento della nascita è rivelatore dell’amore concreto di Dio
Nel mondo esiste un prodigio quotidiano da cui noi stessi siamo avvolti, che ci rivela l’amore che Dio ha per noi: la nostra nascita e rinascita. Il prodigio che non smette di accadere nelle case più povere e nei quartieri più desolati della terra, in cui uomini e donne comuni non rinunciano a dare alla luce un figlio, a concepire nei loro corpi la vita, rincorrendo l’ordine degli affetti più solidi. Poiché ogni nascere contiene una promessa. Prodigio che investe ciascuno di noi in ogni istante di vita, poiché noi siamo continuamente dati a noi stessi senza che siamo noi a darci l’alito di vita.
Il sentimento della nascita è una radice indomabile sulla quale non si ha alcun potere. Sulla morte possiamo anche decidere, sulla nascita , no. Ognuno si trova ad essere vivo senza averlo voluto, né volerlo in ogni istante presente. Il sentimento della nascita ci dà il respiro stesso di Dio, il quale dandoci la vita, dice: “Ti voglio!”. Il nascere è un fatto ineluttabile: nessuno decide originariamente di sé. Non abbiamo deciso noi quando venire al mondo; da chi essere generati; con quali caratteristiche fisiche e psichiche iniziare la nostra aventura umana; non scegliamo la nostra parentela e la nostra lingua madre con la quale impareremo ad esprimerci e a dire la nostra identità. Questo dato è scocciante per tutti coloro che si sentono potenti.
Eppure fare i conti con la nostra nascita è l’inizio della saggezza. Essa ci riporta a quel punto originario nel quale ci rendiamo conto che “siamo stati voluti”. C’è Qualcuno che ci ha voluti, cioè ci ama. Nella mia vita ho capito che qualunque siano le giravolte della libertà di un uomo egli ritrova se stesso soltanto quando si sente amato e voluto. E amato e voluto gratuitamente. Non cè nessuna realizzazione soddisfacente che possa sostituirsi nella realizzazione del proprio Io rispetto a questa percezione consapevole di essere amato. Al contrario il vuoto e il disastro di una vita ha come radice il non sentirsi amato. Ora il fatto di essere nato dice che Io, proprio Io – con le caratteristiche che magari non mi piacciono, ma sono “mie” – sono voluto.
3. Il primo e più grande atto di fede è di credere all’amore di Dio per me
Il primo atto di fede è dunque di credere all’amore che Dio nutre per noi, e per ciascuno in particolare, perché ci dà la vita: “E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1 Gv 4, 9-10. 16)
Bisogna lasciarsi amare, come fanno i bambini piccoli. Se come san Pietro non accettiamo di lasciarci lavare i piedi non prederemo parte alla comunione con lui (cf Gv 13, 8). Questa è la Rivelazione di Gesù: egli ci introduce all’amore che il Padre ha per ciascuno di noi. Dio ama ogni sua creatura, è vero, ma l’atto di fede è sempre al singolare: “Dio ama me!”. Nasce però subito anche l’obiezione: “Io sono peccatore, io sono debole, non sono capace di voler bene, io non sono degno: come può amarmi?” … Ma Dio ti ama, al di là del tuo merito. Dio ci ama perché siamo “figli suoi”. E un figlio non lo si ama perché ha qualche merito, lo si ama e basta, perché è sangue del proprio sangue.
“Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto Lui” (1 Gv 3, 1).
L’essere amati è l’energia intima della vita. Chi è ferito dal non-amore e dall’abbandono percepisce la vita come fallimento e come paura. Ora la Rivelazione svela proprio che tu sei amato, dall’eterno, perché sei stato voluto a questa esistenza. Dio ti ha voluto, e perciò da sempre ha detto di te: “Ti voglio! Ti voglio bene!”.
“Ora così dice il Signore che ti ha creato …: Non temere, perché io ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai la fiamma non ti potrà bruciare, poiché io sono il Signore, tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo. Non temere, perché io sono con te” (Isaia 43,1.4).
Fidarsi di questo atto di benevolenza rivolto alla singola persona, a me, non è immediato. Siamo circondati da un alone di scetticismo, che ci fa esclamare: mah, chissà? Sarà proprio così? Siamo tormentati dal dubbio di essere frutto della Casualità. Siamo più inclini ad accettare di essere discendenti da una scimmia, piuttosto che riconoscerci generati dall’amore di Dio. Come possiamo superare questa barriera? Come possiamo fidarci? Gesù lo spiega a Nicodemo:
“In verità, in verità io ti dico, se uno non si lascia generare [è la traduzione più esatta] da acqua e Spirito [endiadi: lo Spirito Santo è significato dall’acqua che è l’elemento che dà vita], non può entrare nel regno di Dio [non può realizzare il Disegno di Dio di voler regnare nel cuore di ogni uomo]. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete lasciarvi generare dall’alto [da Dio, dall’azione dello Spirito, che è Amore]. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3, 5-8).
Possiamo dunque lasciarci andare a riconoscere che Dio ci ama attraverso l’energia dello Spirito Santo che ci trascina al di là dei nostri pensieri e sentimenti. Egli crea in noi una “sensibilità spirituale” che “ci fa sentire” la brezza dell’amore di Dio Padre. Questo non è una dolce sensazione, perché le sensazioni emotive sono di un momento e passano; è invece la gioia profonda dell’essere trascinati nella certezza amorosa di un Dio che vuole stringere alleanza d’affetto con ciascuno di noi. Ecco questo è il primo atto di fede: credere all’amore che Dio ha per noi.
4. “Gente di poca fede”
Gesù stesso rimprovera i suoi discepoli perché hanno poca fede. La fede cresce con la vita, attraversando le situazioni della vita. Ed è normale sentirsi a volte perduti e/o abbandonati. Ma l’atto di fede è proprio il gesto della nostra libertà che decide di fidarsi di Dio-Padre invece che lasciarsi andare alla paura e allo scetticismo.
Avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora egli li ammoniva dicendo: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!”. Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo e disse loro: “Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?”. Gli dissero: “Dodici”. “E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?”. Gli dissero: “Sette”. E disse loro: “Non comprendete ancora?” (Mc 8, 14-20).
I discepoli avevano con sé un “solo pane” e, poiché Gesù dice di sé stesso: “Io sono il pane che dà vita” (Gv 6, ), questo “unico pane” è Gesù stesso. Ma i discepoli non riescono a riconoscerne la presenza. Lo hanno sulla loro barca, ma è come se non ci fosse. E’ per questo che Gesù li rimprovera di non essere capaci di fidarsi Lui. Anche noi non dobbiamo avere paura dei momenti di buio e di incredulità che possiamo patire. In questi momenti è necessario affidarsi liberamente ancora di più al Signore Gesù.
Preghiera: atto di fede
Mio Dio, credo fermamente tutto quello che tu hai rivelato in Gesù,
tua Parola vivente, e che la santa Chiesa mi propone a credere.
E particolarmente credo in Te, Dio, che sei mio Padre
e ti prendi cura di me e di ogni creatura.
Credo in Gesù Cristo, tuo unico Figlio, incarnato nel grembo della Vergine Maria, morto e risorto per me,
che mi ama con un affetto che brucia ogni mio peccato e tutte le mie debolezze.
Credo nel tuo Santo Spirito, Amore infinito che regge la tua vita trinitaria,
ed hai effuso nel cuore di noi credenti
per trasformare con amore la storia degli uomini.
Conforme a questa fede voglio sempre vivere. Signore, accresci la mia fede.
p. Antonello Erminio